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Turchia. Dopo #Occupygezy e piazza Taksim il futuro è incerto

Creato il 04 luglio 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online

È passato già un mese, un mese dall’ondata turca che dal Gezi Park di Istanbul si è spostata in tutta la regione anatolica, sollevando

Foto  Alan Hilditch, licenza CC BY

Foto Alan Hilditch, licenza CC BY

 malumori che covavano da tempo e che presto si sono trasformati in barricate e occupazioni, poi in rabbia e violenze.

#Occupygezi. Tutto è cominciato con un hashtag, come ogni moderna protesta che si rispetti: #occupygezi era il motto lanciato a difesa di uno dei pochi parchi della città, che il governo aveva deciso di abbattere per ricostruire l’antica caserma ottomana demolita nel 1940, da affiancare a un centro commerciale o a una moschea. Un revival simbolico e urbanistico – bocciato temporaneamente dal Tribunale – che tuttavia non è stato apprezzato, soprattutto per la mancanza di comunicazione tra istituzioni e popolazione.

I risvolti del sit-in – a tratti inaspettati – non si sono fatti mancare: durissima la reazione del governo, che ha incendiato e spazzato via le tende dei manifestanti, e non si è fatta remore a usare gas lacrimogeni, idranti, spray al peperoncino. In breve tempo una pacifica dimostrazione di protesta ha assunto toni più accesi, ripercuotendosi di luogo in luogo, fino ad animare oltre sessanta città turche, compresa Ankara, la capitale. Nel frattempo, decine di migliaia di persone hanno attraversato il ponte sul Bosforo a piedi per raggiungere piazza Taksim e unirsi alle rimostranze. Secondo l’Associazione per i diritti umani durante gli scontri si sarebbero registrate 3 morti, 2800 feriti e 791 arresti.

Il Guardian, appena tre giorni prima dello scoppio delle proteste, aveva definito la Turchia “un’economia fiorente in rapido sviluppo” che di tale passo non avrebbe mancato gli obiettivi preposti da Erdogan per il centenario della Repubblica nel 2023. Tra questi, rendere l’economia turca tra le prime dieci al mondo, alzare il reddito pro capite a 25 mila euro cadauno e avviare una produzione al 100% made in Turkey. Parole che oggi suonano stridenti. Non perché la Turchia non stia realmente attraversando un grande periodo di crescita – i numeri parlano di un + 9.2% nel 2010 e di un + 8.8% nel 2011, seguiti tuttavia da un 2.2% nel passato anno – ma perché di fatto, oltre a questo aspetto, ce ne sono molti altri, a lungo trascurati.

Nuovo autoritarismo. In Turchia manca un partito di opposizione forte, che fronteggi l’Akp (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) e equilibri le discussioni. Così, pur riconoscendo al primo ministro importanti passi in avanti compiuti in questi dieci anni – in primis l’aver riportato l’esercito a ruoli prettamente militari – è evidente che l’acquisizione del potere da parte di Erdogan abbia valicato il limite. “Con il tempo è arrivato a convincersi che lo stato sia lui” dice Hasan Cemal, giornalista e scrittore indipendente. Questo, a scapito della libertà di parola e di stampa, fortemente colpita da censura. I mezzi d’informazione, un tempo pluralisti, si sono via via uniformati al modello imposto dall’alto. Erdogan ha anche recentemente assunto posizioni rigide e di stampo integralista nei confronti di diverse tematiche: restrizioni nella vendita degli alcolici, misure proibitive per effusioni pubbliche.

Sviluppo urbanistico. Inoltre, le mire autoritarie del primo ministro andrebbero secondo molti a sconfinare anche nell’impianto urbanistico delle grandi città, prima fra tutte la stessa Istanbul, che negli ultimi anni è andata incontro a ingenti trasformazioni: sobborghi e interi quartieri diventati luoghi di lusso e centri commerciali, con conseguenti allontanamenti forzati di numerose famiglie; chiese antiche abbattute per cancellare il passato ortodosso della città e uno storico cinema demolito per fare posto a Grandi magazzini. E poi progetti superbi che hanno fatto storcere il naso a quella parte di popolazione a cui nessuno ha mai chiesto un parere: l’aeroporto più grande del mondo – per ora solo sulla carta -, la più grande moschea del Paese, e un canale che divida in due la parte europea della città. Un’impronta sempre più marcata che rischia di spazzare via l’Istambul storica che preserva all’interno le molteplici tradizioni imperiali. Come se non bastasse, recentemente è in cantiere il progetto per la costruzione di un terzo ponte sul Bosforo che porterà il nome di Yavuz Sultan Selim, sultano ottomano soprannominato “il crudele” per i massacri compiuti ai danni della minoranza alevita (di culto sciita) nel ‘500.

La questione curda. E a proposito di minoranze, è proprio in questo terreno che rischia di incagliarsi il governo di Erdogan. Infatti, se fino a poco fa il primo ministro era visto come il leader capace di placare una volta per tutte il conflitto turco-curdo, oggi non è più così. Negli ultimi giorni migliaia di persone sono scese in piazza a Diyatbakir, Mersin e Adana, province curde, ma la polizia non ha autorizzato le proteste. Il confronto si è trasformato immediatamente in uno scontro e a Lice un ragazzo di diciotto anni è stato ucciso dalle forze armate, che hanno inoltre ferito decine di manifestanti. La risposta curda non si è fatta attendere, gli equilibri ad oggi vacillano e tutto questo potrà avere ripercussioni sul futuro. Qualcuno parla di possibile Estate curda, dopo la Primavera di piazza Taksim.

Staremo a vedere. Quel che è certo è che Turchia non è sinonimo di stabilità come si è a lungo detto nei mesi scorsi. E una crescita economica non garantisce a un governo di farsi di giorno in giorno più autoritario. Serve senno e capacità di ascolto. Un Paese in piazza che chiede dialogo e interazione non è una “branca di teppisti” da ammanettare. Piuttosto, un soggetto da tenere in gran considerazione. Altrimenti, per Erdogan, il rischio è quello di sprofondare. Nel girone dei grandi e meno grandi despoti del XXI secolo. A fargli da guida potrebbe offrirsi Mohamed Morsi, fresco di dipartita. D’altronde non è da tutti avere a fianco un Virgilio. E di questi tempi, per giunta, è bene accontentarsi.

Articolo di Virginia Giustetto


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