Turchia, Erdogan, piazza Taksim, chi sono i manifestanti

Creato il 11 giugno 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online

attribution #occupygezi.

È impossibile categorizzare i manifestanti, perché sono davvero tanti, in tutta la città, anzi in tutta la Turchia, e arrivano manifestazioni di solidarietà dalla Georgia, dalla Germania dagli USA, dalla Tunisia. E i manifestanti sono di tutte le età, ragazzi, anziani, donne uomini, donne col velo.

Inoltre il movimento non è concentrato dove avvengono gli scontri, la sera dopo una certa ora tutta la città e in movimento, in tutte le vie c’è un via vai di persone che si riuniscono, tutti armati di mascherine perché si sa, da un momento all’altro ci si ritrova in mezzo al gas.
Anche chi non scende in piazza partecipa, un paio di volte al giorno, in tutti i quartieri, cominciano a sentirsi battiti di pentole da tutte le finestre, e le luci vengono accese e spente ad intermittenza, a volte anche alle due di notte, sono le persone che stanno a casa che manifestano in questo modo la propria partecipazione.

Nelle vie piccole e tranquille invece la gente scende anche in strada con le pentole, con i bambini in primis che battono pentole e cucchiai, in questi momenti sembra più una festa che una protesta. In realtà anche nelle zone più calde come Taksim, e Besiktas, quando non c’è la polizia, la protesta viene vissuta come una festa, musica, bandiere, sorrisi, e tanta solidarietà fra le persone.

Domenica mattina in piazza Taksim la manifestazione è finita con la gente che ripuliva la piazza dall’immondizia, stile indignandos spagnoli, e al Gezi Park la gente porta da mangiare a chi staziona li.
È facile poi sentirsi tutti cittadini dello stesso grande paese quando inaspettatamente in piazza TAKSIM, il popolo turco si è messo a cantare “Bella Ciao”!

Poi la situazione cambia di colpo, si passa dalla manifestazione festosa agli scontri, e la scena diventa davvero desolante. I manifestanti si preparano in anticipo e costruiscono trincee e barriere ovunque nella strada che porta da Taksim a Besiktas. I manifestanti cominciano difendendo la prima “trincea”, e quando la polizia riesce a penetrare passano alla seconda, come in una vera e propria guerra.

Ai vari livelli ci sono gruppi di manifestanti con cui ci fermiamo a parlare, raccontano in modo tranquillo quello che chiedono, quello che vogliono, poi però di colpo si congedano perché la polizia sta arrivando al loro livello, è arrivato il loro momento. Anche in questa parte desolante, la solidarietà fra i manifestanti è altissima.

Ci sono ragazzi con gli abiti da infermieri che aiutano i feriti, alcune università di notte rimangono aperte come pronto soccorso di emergenza, e tante persone con bottiglie di latte e limoni da mettere negli occhi dopo avere preso il gas, e cotone con l’aceto da mettere sotto il naso.
I media nazionali per i primi giorni hanno provato ad ignorare completamente la vicenda, ma il risultato è stato aizzare ulteriormente la protesta che chiede fra le altre cose, libertà di stampa ed espressione.

#occupygezi.

Ho chiesto a un ragazzo in un banchetto se voleva contribuire a scrivere questo articolo da divulgare in Italia, era d’accordo ma era molto sospettoso, non vogliono firmare articoli perché sanno che potrebbero pagarla, ma non voleva neanche scrivermi direttamente le sue considerazioni via email, credo per paura che io fossi “un infiltrato del governo”, oppure per paura che le email fossero controllate. Subito dopo, ho saputo che una ragazza francese che studia nella mia università è stata arrestata per avere fatto delle fotografie alla polizia mentre attaccava la folla, e per questo è in questura da una settimana. Ora i media hanno cominciato a parlarne, ma inquadrando solo gli scontri e mai il restante 99% di partecipazione popolare che consiste in manifestazioni pacifiche, banchetti informativi, concerti e danze popolari in piazza.

Ma cosa ha portato tutta questa gente a manifestare contro il primo ministro Erdogan? In fondo la Turchia è un paese in forte crescita economica, e negli ultimi dieci anni mediamente i cittadini hanno triplicato il proprio stipendio. Ed è proprio il miglioramento economico che ha portato Erdogan ad avere tutto questo consenso. Un ragazzo turco che ho incontrato a Taksim, mi ha spiegato in modo molto lucido la situazione. Loro riconoscono i meriti in campo economico avuti da questo governo, e sanno che, continuando con questo governo, i loro stipendi cresceranno ancora. Ma il punto, dice, è che Erdogan sta utilizzando il consenso ricevuto per i suoi meriti in campo economico, per distruggere la democrazia, eliminando molti diritti acquisiti in quasi cento anni a colpi di riforme. Il governo vuole trasformare la Turchia in una macchina da turismo, in cui i cittadini sono funzionari di questo schema, non protagonisti ma con un ruolo ben preciso dettato dal governo.

E allora questo ragazzo dice una cosa quanto mai attuale: a me non interessa essere sempre più ricco, se sarò anche infelice perché mi avranno tolto tutti i diritti e i beni pubblici. È così non accettano che Erdogan voglia distruggere dei simboli della Turchia moderna come un vecchio cinema a Beyoglu distrutto pochi mesi fa, come piazza Taksim, per voler cancellare la loro storia recente, perché dal punto di vista turistico Istanbul ha più fascino se accostata all’impero Ottomano e all’Islam che alla modernizzazione e laicizzazione dello stato maturata negli ultimi cento anni. Allo stesso modo non accettano il proibizionismo, non accettano “dittature di fatto” in cui i media sono completamente controllati, e a fare opposizione giornalistica si rischia grosso di finire in carcere con qualche assurda accusa. Non accettano poi che sia minata la libertà di espressione, che sia utilizzata la violenza per mettere a tacere manifestazioni pacifiche. Ed è stato proprio quest’ultimo punto ad avere dato il via a questa grande protesta. È stato quando le poche centinaia di pacifici manifestanti che dormivano a Taksim in difesa del Gezi Parki, suonando, cantando, leggendo libri e piantando nuovi alberelli, sono stati attaccati con gas e manganellate.

Articolo di Filippo Condini


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