"Turner. O dei mugugni premonitori di un genio riluttante" (II)

Creato il 26 aprile 2015 da Veripaccheri

Non sorprende, conseguentemente a quanto detto, l'attenzione riservata dal direttore della fotografia Dick Pope ("Reflecting skin", di P.Ridley; "The way of the gun", di C.McQuarrie; "The illusionist", di N.Burger, ad integrare il lungo sodalizio con Leigh) nella scelta delle fonti luminose, dei punti di vista, dei chiarori improvvisi e delle morbidezze pulviscolari, degli spiragli incerti o delle perentorietà degli spazi aperti: i rimandi alla pittura di Turner nelle varie fasi della sua vita, gli echi dei suoi stati d'animo, degli studi, dei ritagli di socialità, si delineano e s'intrecciano in un campionario di opzioni in corrispondenza diretta con la ricerca prodotta durante l'arco di una singolare vocazione (e tralasciando qui - ad esempio e giocoforza - digressioni possibili circa la consistenza drammatica delle ombre, delle generiche oscurità, approcci, percorsi e soluzioni che l'uomo di Covent Garden condivide forse solo con Caravaggio e Rembrandt). Fasci di luce radente proveniente dalle grandi finestre dello studio raccontano, allora, gl'istanti in cui il metodo cerca lo stesso ritmo dell'estro; sottili raggi convogliati a dovere in ragione di esperimenti sulla scomposizione del prisma nei cromatismi fondamentali, suggeriscono la curiosità intellettuale che fruga tra le pieghe di strutture di pensiero consolidate; stasi dorate accompagnano la giovialità discreta e i brandelli di un umorismo burbero come pure pugnace: pallori, semioscurità, cupezze incombenti, sottolineano incomprensioni, rigidità, chiusure et...
Stati d'animo, dunque, mano mano arricchiti d'interrogativi e pazientemente circostanziati - tanto nel quotidiano, quanto nell'opera (e nel film) - al cospetto di tempi che prendono ad accelerare con una frequenza che non conoscerà mai più incertezze e che Turner presentisce e comincia a constatare sulla propria pelle riversandone il portato emotivo e spirituale in numerose tele (in specie ad olio). Leigh stesso si sofferma su quello che e' lo spartiacque decisivo della Storia Moderna, stringendo il campo sugli occhi di prassi semi-serrati del pittore intento a seguire il passaggio di un treno sulla linea ferroviaria che collega Londra a Reading. La Rivoluzione Industriale si presenta, così, sotto le spoglie di una possente locomotiva che sbuffa, penetra i recessi silenziosi della campagna, mentre cumuli di vapore niveo si fanno strada fra le geometrie indolenti di alberi e cespugli: per lunghi istanti Macchina e Natura sembrano sciogliersi l'una nell'altra, ingaggiando per la prima volta quel braccio di ferro che tuttora le impegna, a oltre duecentotrent'anni di distanza. Turner, immobile, appare irretito e al tempo turbato, come uno che avverte/sospetta/intuisce di essere stato ammesso alla presenza di uno di quei rari eventi che, spezzando il ripetersi di equilibri ciclici dati per immutabili, separa in modo inequivocabile un prima da un dopo, non a caso, quest'ultimo, da subito catturato e a breve riproposto in un'opera dal titolo quantomai esplicito di "Pioggia, vapore e velocità. La grande ferrovia occidentale", (1844).
Nel dipinto, la locomotiva corre in direzione di chi guarda (mentre nel film se ne allontana) a sancire - certo - l'ineluttabilità dei tempi nuovi ma pure a pungolare la necessita' di adeguare ad essi la percezione, al fine di non esserne travolti o non limitarsi a subirli (come la minuscola lepre che attraversa i binari, a conferma dell'imminente/quasi avvenuto superamento del meccanismo inanimato a scapito dell'ordo rerum). Che Turner si sia trovato a vivere a ridosso dell'instaurazione dell'era-delle-macchine e', banalmente, un caso. Meno banale e' il suo farsi interessante al momento di constatare la nient'affatto prevedibile circostanza per cui esso favorisce, in colui che ci s'imbatte facendone parte, movimenti di pensiero in grado di oltrepassarne il mero riscontro, alimentando una dialettica che insiste nel rilanciarlo in una dimensione che osa prefigurare quello che non c'è ancora. E ciò che non c'è ancora - e non ci sarà più - e', fra l'altro, il rapporto esclusivo, perché senza filtri, tra l'artista e il mondo che gli si dipana attorno. Medesima legge a cui dovrà attenersi, per elementare inferenza, il frutto del di lui (e di chiunque altro) ingegno, nella, come si dirà, "epoca della sua riproducibilità tecnica". Come infatti ci ha spiegato Benjamin, "nel giro di lunghi periodi storici, insieme con le forme complessive di esistenza delle collettività umane, si modificano anche i modi e i generi della loro percezione sensoriale. Il modo e il genere secondo cui si organizza la percezione sensoriale umana - il medium in cui essa ha luogo - e' condizionato non soltanto in senso naturale, bensì anche in senso storico... Con i vari metodi di riproduzione tecnica dell'opera d'arte, la sua esponibilita' e' cresciuta in una misura così poderosa, che la discrepanza quantitativa tra i suoi due poli (cultuale e espositivo) si e' trasformata, analogamente a quanto e' avvenuto nella preistoria, in un cambiamento qualitativo della sua natura. Come infatti nella preistoria l'opera d'arte, attraverso il peso assoluto che risiede nel suo valore cultuale, era diventata principalmente uno strumento della magia, che soltanto più tardi viene riconosciuto in certo modo quale opera d'arte, oggi, attraverso il peso assoluto che risiede nel suo valore di esponibilita', l'opera d'arte si trasforma in un'opera con funzioni completamente nuove, delle quali quella di cui siamo consapevoli, ossia quella artistica, si profila come quella che più avanti si può riconoscere come quella marginale" (W.Benjamin, "L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica"). L'atteggiamento a meta' fra curiosità mugugnante e diffidenza presaga tenuto da Turner di fronte ad un simile rivolgimento e' vieppiù testimoniato da un lascito come "La valorosa Temeraire trainata all'ultimo ancoraggio per essere demolita", del 1838, in cui la leggendaria imbarcazione dell'Ammiraglio Nelson,
oramai versione spettrale della splendida nave da guerra trionfatrice a Trafalgar, viene mestamente condotta alla distruzione da un natante a vapore, incarnazione del Progresso che travolge il Passato (esemplarmente la scena si svolge al tramonto, con questo che cattura quasi i due terzi dell'intera opera) e con esso lo spirito di un'epoca che pareva persuaso - almeno in un certo milieu sociale - della propria relativa inattaccabilità: pensiamo, per dire, a gran parte dell'aristocrazia terriera (alcuni esponenti della quale Turner stesso frequenta a diverse riprese e al modo di lunghi e sofisticati incontri salottieri, sovente conditi di sottigliezze cavillose che egli con stoicismo ascolta e alle quali talvolta intercala una replica per puro - e terapeutico - spirito di contraddizione o come opposizione in limine alla carezza soporifera dello cherry) geneticamente disposta ad illudersi di poter eternare se stessa in una sorta di tempo-senza-tempo puntellato da privilegi immensi.
Considerazioni sociologiche a parte, resta ineludibile, nel ragionamento intorno al rapporto che vincola l'uomo/l'artista al mondo naturale, alle maniere in cui tale rapporto viene percepito, meditato e restituito/espresso, il ruolo delle mutazioni - spesso radicali - che le società subiscono in quei cent'anni scarsi a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo e che, nel caso particolare, sollecitano l'immaginazione di un uomo oltremodo perspicace, depositandosi entro un'opera sempre più testardamente orientata a re-imparare a vedere ciò che fino a quel momento ci si e', in gran parte, accontentati di guardare. In tale prospettiva, tornano di nuovo utili - a mo' di griglia in cui contestualizzare gli scarti e le provocazioni di un artista curioso e perciò stesso incontentabile - alcune tesi di fondo proposte dallo storico C.M.Cipolla e contenute nella sua "Storia economica dell'Europa pre-industriale". Osserva, tra l'altro, Cipolla: "Un'essenziale continuità caratterizzo' il mondo pre-industriale pur attraverso rivolgimenti grandiosi, quali lo sviluppo e la decadenza dell'Impero Romano, il trionfo e il declino dell'Islam, i cicli dinastici cinesi. Come e' stato scritto (da qui si cita C.H.Waddington, "The ethical animal"), se un antico romano fosse stato trasportato diciotto secoli avanti nel tempo, egli si sarebbe trovato in una società che avrebbe imparato a capire senza eccessiva difficoltà. Orazio non si sarebbe sentito fuori posto come ospite di Walpole e Catullo si sarebbe sentito di casa tra le carrozze, le donnine e le torce illuminanti della Londra notturna del Settecento. Questa continuità fu rotta tra il 1780 e il 1850. Alla fine del secolo XIX se un generale studia l'ordinamento militare romano, se un medico si occupa di Ippocrate e Galeno, se un agronomo legge Columella, lo fa per puro interesse storico o per gioco d'erudizione. Anche nella lontana e immobile Cina appare evidente ai più illuminati tra i burocrati-letterati del Celeste Impero che gli antichi testi classici che avevano dato continuità alla storia cinese attraverso invasioni e cicli dinastici non hanno più valore per la sopravvivenza nel mondo contemporaneo".
Nella stessa direzione concettuale procede anche la sequenza del film di Leigh che mostra Turner/Spall cautamente incuriosito dalla nuova frontiera dell'immagine: la fotografia. Sebbene ritroso, il pittore si lascia alla fine convincere a posare per un dagherrotipo (ad una seduta simile, in seguito, deciderà di sottoporre anche la Sig.ra Booth), in un misto di timore e sconcerto che ricorda e mima il ben noto stereotipo a due voci con l'uomo bianco, da un lato, a far mostra delle proprie meraviglie e il buon selvaggio, dall'altro, a stupirsene o a ritrarsene atterrito. Ancora Benjamin: "Nella fotografia il valore di esponibilita' comincia a sostituire su tutta la linea il valore cultuale. Quest'ultimo, pero', non arretra senza opporre resistenza. Occupa un'ultima trincea e questa e' il volto umano. Niente affatto casualmente il ritratto e' al centro delle prime fotografie. Nel culto del ricordo dei cari lontani o defunti il valore cultuale dell'immagine trova il suo ultimo rifugio. Nell'espressione fuggevole di un volto umano, dalle prime fotografie, emana per l'ultima volta l'aura. E' questo che ne costituisce la malinconia e incomparabile bellezza. Dove pero' l'uomo scompare dalla fotografia, la' per la prima volta il valore espositivo prevale sul valore cultuale" - W.Benjamin, op. cit. -. Da questo momento in poi, in generale e in altre parole, l'artista non potrà più aprire il gioco nel do ut des della rappresentazione. Non solo: la riproduzione in teoria innumerabile di un singolo dato esperienziale, nonché la simmetrica moltiplicazione dei punti di vista possibili, farà registrare, allo stesso tempo, l'aprirsi di una frattura netta fra l'occhio che indaga il mondo - ossia gli aspetti di questo che ne compongono il campo di ricerca - e l'ispessirsi, lento ma sistematico, di una specie di membrana fatta di nuove e sempre più numerose immagini, in presenza delle quali il medesimo occhio finirà via via con lo smarrirsi in un intrico di rimandi suggestivi ma spesso contraddittori, al punto da erodere un grano alla volta l'esemplarità di un gesto che l'Arte per come s'era imposta fino a quel momento postulava irripetibile, così come la fatalità della sua meraviglia, e quindi il mistero, l'incanto, unica via secondo Turner ("Avrei voluto vedere il magnifico spettacolo delle cascate del Niagara", dice, mentre attende di essere immortalato nella prima di alcune sue foto; alla notizia di un giovane corpo di donna restituito dal mare, si precipita - già malato - in veste da notte e scalzo, con taccuino e matita, gridando: "Devo vedere ! Devo disegnare !") per cogliere persino nel sensus finis i bagliori della Città dell'Oro.

TFK
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