Tutta la vita davanti: il precariato ai tempi del call center

Creato il 23 luglio 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

IL PRECARIATO AI TEMPI DEL CALL CENTER

Su TUTTA LA VITA DAVANTI di PAOLO VIRZI’

Onirismo e realtà. Il call center come metafora delle diseguaglianze sociali.

Fin dalla prima inquadratura si ha la cifra stilistica di un film come Tutta la vita davanti: sulle onde di una colonna sonora da musical anni Sessanta, vediamo la protagonista, Marta (Isabella Ragonese, una sorpresa per la forza interpretativa che infonde al suo personaggio), che attraversa la città in un bus e dal finestrino assiste a un ballo collettivo dei passanti e dei cittadini. Il bus va verso la periferia romana pieno di giovani donne, dove tutte cantano e ballano. La macchina da presa di Virzì segue con sinuosi e avvolgenti movimenti, una sorta di danza della cinepresa che coinvolge lo spettatore fin dall’inizio, in un sogno a occhi aperti di una favola amara. La visione favolistica è accentuata dalla voce narrante off (di Laura Morante che non apparirà mai durante il film, ma che appunto è la narratrice onnisciente della storia di Marta).

Da subito vediamo Marta che va a lavorare in un call center, come operatrice di telemarketing di un depuratore delle acque, con l’obiettivo di prendere appuntamenti per i giovani venditori. Il regista ci trasporta con immediatezza nel mondo del call center, in poche scene di raccordo. Con una messa in serie efficace – in cui sono molto utilizzate le dissolvenze semplici o incrociate - Virzì sfoggia una grammatica cinematografica che sottolinea non solo i salti temporali tra presente e passato, ma anche la contrapposizione tra una realtà reale e una realtà filmica onirica. Dopo la prima sequenza, siamo introdotti con una dissolvenza in un lungo flashback esplicativo (molto da cinema classico) dove assistiamo al giorno della discussione della tesi in filosofia della giovane Marta che si laurea a pieni voti cum laude  e bacio accademico.

Il regista livornese ci rappresenta la dualità del personaggio di Marta tra due estremi: quella di giovane laureata di alto profilo e quella di precaria di bassa manovalanza. Del resto, è immediata, senza alcun filtro, la messa in scena di un precariato che, come spiega bene Luciano Gallino, “motiva le organizzazioni a chiedere titoli di studio sempre più elevati, anche per lavori di qualificazione media o bassa. In tale situazione gli individui sono comunque spinti a conseguire un titolo di studio elevato, perché senza di esso non avrebbero alcuna speranza di ottenere o conservare un posto di lavoro qualsiasi” (1).

La ricerca di lavoro di Marta è rappresentata in modo didascalico e lineare, in tante sottosequenze del lungo flashback, senza alcun successo. Ovviamente, Marta cerca di trovare un lavoro nel suo ambito di studi, ricevendo solo rifiuti. La voce off della narratrice continua a raccontare la favola tragica di questa cenerentola con tono grottesco e ironico. Il fidanzato di Marta, del resto, per trovare un lavoro ben pagato e corrispondente alla sua qualifica dovrà emigrare negli Stati Uniti, mentre Marta, alla fine, dopo un mese si ritroverà a lavorare nel call center della società americana Multiple. Il flashback finisce dopo 16’ e si ritorna al tempo presente della diegesi filmica e termina anche la voce off narrante.

Lo sguardo di Marta è quello disincantato e nello stesso tempo determinato a cercare la sua strada. Il call center diventa per la protagonista di Virzì uno spazio dove si assistono a dinamiche sociali, psicologiche ed economiche basate sul sopruso, il controllo, l’estrema competizione che si trasforma in una continua corsa alla violenza verbale e psicologica. Il call center solo in apparenza è un “villaggio vacanze” dove tutte cantano e sono felici di lavorare nel migliore dei mondi possibili, ma dove nella realtà si assiste alla realizzazione della metafora del Grande Fratello, dove tutti osservano tutti, in modo superficiale e in un circuito autoreferenziale (e il programma televisivo Grande Fratello diviene lo specchio delle ragazze del call center, il modello culturale a cui fare riferimento e di cui discutere).

Il call center è la metafora e allo stesso tempo la concretizzazione delle disuguaglianze create dalla globalizzazione economica (la società in cui lavora Marta è una multinazionale americana e l’Italia non è altro che la periferia del suo impero economico da sfruttare al meglio) e i lavoratori e le lavoratrici dei call center fanno parte ormai delle ultime classi della piramide: quelle corrispondenti ai lavoratori poveri senza un reddito fisso, persone a volte senza un domicilio stabile, facenti parte di un’economia sommersa(2). E il call center di Tutta la vita davanti rappresenta la “nuova (…) disuguaglianza manifestatasi nelle società europee tra i lavoratori stabili (…) e i lavoratori definibili a vario titolo come precari e flessibili”(3).

I personaggi icone in dinamiche di sopraffazione fisica e psicologica.

I rapporti di disuguaglianza sono ben rappresentati dai vari personaggi che si muovono nel microcosmo messo in scena nel contesto filmico. Oltre a Marta, abbiamo Sonia (Micaela Ramazzotti) una “borgatara” con figlia a carico, senza arte né parte, che si arrabatta come può e occupa abusivamente un piccolo appartamento in un palazzo fatiscente; Lucio (Elio Germano), in coppia con Marta nel team commerciale, dalla personalità fragile e modellato sugli stereotipi del venditore da manuale; Daniela (Sabrina Ferilli) responsabile del telemarketing che vive in un mondo a parte fatto di finzione e ipocrisia e con l’ossessione di sposare  Claudio (Massimo Ghini) amministratore della Multiple, che al contrario vive una vita fatta di possesso dove ciò che conta è il denaro, i figli e lo scontro con la moglie da cui è separato. Marta si rapporta con tutti loro con un certo distacco, di osservatrice, a volte stupita a volte critica, nei confronti della vita che conducono tutti i personaggi della storia. Anche Marta si integra nel meccanismo perverso del call center e si stupisce lei stessa di quanto sia brava a prendere gli appuntamenti. Ma proprio il confronto/scontro con gli altri personaggi la porta poi a fare uno scarto e ad agire coscientemente come analista della situazione che vive.

Gli altri personaggi saranno tutti schiacciati dalla macchina distruttrice del call center:  Claudio sarà ucciso da Daniela; Daniela impazzirà dopo l’omicidio di Claudio e prima che quest’ultimo le dirà che non ci sarà nessun futuro tra loro; Sonia sarà licenziata e si costringerà a prostituirsi via web; Lucio abbandonerà dopo una crisi isterica, rendendosi conto di essere sfruttato da un lavoro nella realtà non pagante né soddisfacente, ma che, al contrario, lo porta a sfruttare familiari e amici e avrà un grave incidente d’auto, emblema fisico del sua psiche già incidentata.

Tra tutti i personaggi abbiamo anche la figura del sindacalista Giorgio (Valerio Mastrandrea) che viene rappresentato come un ipocrita che nella sua foga di aiutare gli altri porta solo disastri e malessere e Marta, se in un primo tempo lo aiuterà nel tentativo di sindacalizzare il call center, si renderà conto dell’inconsistenza dell’uomo e del suo operato.

Virzì con la macchina da presa resta addosso ai suoi personaggi, li accompagna per tutto lo svolgersi della messa in scena, in una dimensione narrativa in cui il blocco della mobilità sociale è, sì, un sintomo della crisi sociale(4), ma soprattutto rappresenta un blocco etico delle persone, dove la presa di coscienza culturale resta un’esclusiva di Marta.

Del resto, Marta lascerà tutto e riuscirà a scrivere un saggio filosofico sul call center e le dinamiche del Grande Fratello (la trasmissione televisiva che è il punto di riferimento culturale della ragazze del call center) e che sarà pubblicato da un’importante rivista straniera (nemo profeta in patria), ma che non le darà da mangiare né le aprirà delle prospettive future diverse .

L’ultima sequenza si chiude con Marta che trova Lara (la figlia di Sonia) per strada, mentre la madre intrattiene dei clienti. Indignata, cerca di portarla dalla  nonna ma Sonia si oppone. Tutte e tre vanno da un’anziana signora a cui Marta era riuscita, con l’inganno, a far presentare  il prodotto Multiple da Lucio e quest’ultimo aveva pure rubato dei soldi. Marta glieli restituirà di persona (il suo compenso per l’articolo pubblicato) e nell’ultima inquadratura Marta, Sonia, Lara  sono ospiti della signora che le ha invitate per il pranzo. La macchina da presa compie un’ampia inquadratura della tavola imbandita su un quadro apparentemente idilliaco e un lieto fine fittizio, sapendo bene che il futuro di tutti i personaggi sarà incerto e oscuro. E alla fine, in un dolly all’indietro con un campo lungo, si vedrà il cortile, la casa e Roma in un immaginario raccordo con lo stesso movimento di macchina che farà Matteo Garrone nel finale di Reality.

La commedia italiana esempio di rappresentazione apocalittica.

Tratto dal romanzo di Michela Murgia, Il mondo deve sapere(5), Tutta la vita davanti è un film che lo stesso Virzì ha definito “allegramente apocalittico per quello che descrive”(6).

Con una solida sceneggiatura, fatta di dialoghi brillanti e personaggi descritti con grande profondità psicologica, Virzì rappresenta in modo significativo una realtà sociale che nel 2008 era appena agli inizi e che oggi diventa ancora più predittiva, con il senno di poi, della realtà italiana che stiamo vivendo. L’utilizzo della macchina da presa, da parte del regista livornese, dona alla pellicola una visione particolare della messa in quadro, fatta di primi piani emotivamente funzionali all’andamento della storia e di campi lunghi della periferia romana (la zona della nuova Fiera di Roma) che descrivono bene l’alienazione in cui si muovono i corpi attoriali.

La scenografia urbana è l’altra protagonista del film, una Roma altra, città simbolo di decadenza e spersonalizzazione, che bene rappresenta i margini - fisici e psicologici - di quello che lo Spettatore vede sullo schermo, ma che vive anche al di fuori della messa in campo nella quotidianità di qualsiasi città italiana.

Virzì riesce con Tutta la vita davanti a far vedere del grande cinema, sul solco della commedia italiana degli anni Sessanta e Settanta (quella dei Risi, dei Monicelli), rivisitandola e attualizzandola,  che, a tratti, strappa un sorriso amaro e descrive i cambiamenti di una società italiana sempre più asfittica e desolata.

Antonio Pettierre

Note.

(1)   Luciano Gallino, Globalizzazione e Disuguaglianze, editore Laterza, quarta edizione 2009, pag. 82.

(2)   Op. cit.,  pp. 67-71.

(3)   Op. cit.,  pp. 71-72.

(4)   Op. cit, pp. 76-79.

(5)   Michela Murgia, Il mondo deve sapere, edizioni ISBN, 2006. Dello stesso periodo, un altro romanzo che tratta gli stessi temi con un tono ironico e apocalittico è il romanzo Voice Center, Cairo editore, 2007 di Zelda Zeta (pseudonimo collettivo degli esordienti Pepa Cerutti, Chiara Mazzotta e Antonio Spinaci) del mondo del precariato in un call center.

(6)   Definizione di Paolo Virzì nella conferenza stampa reperibile nel web http://www.cinemaitaliano.info/news/01532/conferenza-stampa-milano-26-03-2008-tutta.html


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