L’omosessualità dall’antichità al secondo dopoguerra.
Tutta un’altra storia | Un saggio di Giovanni Dall’Orto.
di Massimiliano Sardina
Tutti i fenomeni umani ci parrebbero indubbiamente incomprensibili se tentassimo di analizzarli senza inquadrarli nel corrispondente periodo storico, e ciò è ancora più vero per quel che concerne una “storia dell’omosessualità”. Dall’Orto sceglie di stilare la sua analisi seguendo un fil rouge cronologico che partendo dal mondo grecoromano si dirama fino ai totalitarismi del XX secolo (l’indagine, limitata alla sola cultura occidentale, si concentra quasi esclusivamente sull’omosessualità maschile). Quella di Dall’Orto è principalmente una riflessione storica sull’identità e sul vivere omosessuale, uno studio comparato assolutamente oggettivo, ricco di note e rimandi bibliografici, quindi non un semplice excursus nella letteratura omosessuale; Dall’Orto esamina i testi letterari solo per quello che indirettamente sono in grado di rivelare della mentalità specifica di chi li ha redatti. Ma è davvero possibile scrivere una storia dell’omosessualità? Le informazioni di cui disponiamo sono davvero così chiare e generose? Laddove langue la fonte è lì che lo storico si fa rabdomante, chiamando a raccolta sia le interpretazioni più ardite sia il buon senso, alfine di pervenire a un contributo il più possibile oggettivo e esaustivo.
La metodologia analitica di Dall’Orto, ben dichiarata nella premessa, parte dall’assunto programmatico che non solo sia possibile ricostruire una storia dell’omosessualità, ma che sia in primo luogo anche un atto doveroso da un’ottica civile, contro le pericolose teorie “invenzioniste” che definiscono l’omosessualità un’invenzione moderna. Questa storia altra si sforza di dar voce a chi non l’ha mai avuta, ed è un vero e proprio coro quello che l’autore fa emergere dal grande silenzio degli ultimi trenta secoli. Dagli strali biblici contro i “perversi di cuore” (“dissoluti” o “effoeminatos”) alle strategie repressive nazi-fasciste contro i “pederasti”, finita la lettura del saggio si apprende che un’age d’or dell’omosessualità non è mai esistita. Tutta un’altra storia non è una storia dell’omofobia, non vuole esserlo, ma inevitabilmente tutto scorre in parallelo (è forse possibile separare la vittima dal suo aguzzino?); a cambiare è però l’inquadratura, che a più riprese vira in soggettiva per testimoniare drammi e gioie dubbi e consapevolezze dall’interno. Una delle tesi alla base del saggio è che «in ogni dato momento storico diverse categorizzazioni (tassonomie) dell’omosessualità convivono, spesso contraddicendosi e combattendosi»; una concezione opposta a quella di Michel Foucault (e scuola), che riconosceva in ogni epoca un atteggiamento univoco nei confronti del fenomeno.
Dall’Orto sfata il mito della Grecia antica quale paradiso dei gay, e al contempo rintraccia nel mondo pagano precristiano il seme infestante dell’omofobia. Solo alcune declinazioni dell’omosessualità erano ben viste nella Grecia d’età classica – il rapporto tra il senex e il giovane efebo (purché quest’ultimo fungesse da passivo), o le relazioni elicofiliche tra giovanissimi – e siamo ben lontani da quell’assoluta libertà istituzionalizzata che erroneamente hanno ravvisato certi storici. Emblematico nel mondo grecoromano è il cinedo (kìnaidos), termine onnicomprensivo per diverse tipologie di identità omosessuali (dall’effoeminatos che brama il maschio all’ipervirile attratto anch’egli dal maschio). Il cinedo, in altre parole, è l’omosessuale antico (ossia un individuo con uno specifico orientamento sessuale). Condizione innata o acquisita? Malattia (morbum), vizio dell’animo (animi vitium) o semplice variante naturale? Come si desume dagli scritti di Giovenale, Cicerone, Luciano di Samosata e Salviano di Marsiglia (per non citarne che alcuni), concezioni, interpretazioni e giudizi sulla cinedia si sono sempre sovrapposti in aperta contraddizione. Dall’Orto puntualizza che «è scorretto dire che tutti gli antichi pensavano che l’omosessualità fosse una condizione innata, frutto di un orientamento (non lo pensavano tutti: solo alcuni di loro lo pensavano) e viceversa è altrettanto scorretto dire che tutti gli antichi pensavano che tutti i maschi fossero bisessuali e che non esistesse una condizione innata che predisponeva ai rapporti con il proprio sesso a esclusione del sesso opposto (…) Erano parte della stessa società, però alcuni la pensavano in un modo, e altri nell’altro. Guarda caso, proprio come noi oggi.»
Il viaggio prosegue passando da Platone e Aristotele fino a quel sant’uomo di Paolo di Tarso, l’inventore del cristianesimo. Nella Lettera ai Romani san Paolo si scaglia contro gli uomini che si accendono di passione gli uni per gli altri, e introduce (diabolico) il concetto di “contronatura” (parà fùsin); qui l’omosessualità è indicata non come una colpa ma come “una punizione per una colpa”, inflitta da Dio contro chi si allontana dalla sua verità. Solo Paolo di Tarso parla di omosessualità nel Nuovo Testamento (nei Vangeli canonici Yehoshua non sfiora mai l’argomento). Da san Paolo ai primi roghi, nei secoli XI-XIII, il passo è stato tutt’altro che breve. Se contro i diversi si sia accanito più il potere ecclesiastico o più quello laico è difficile stabilire, ma certo ogni epoca ha registrato picchi ora su un versante ora sull’altro. Nel corso del Rinascimento – anche grazie al Platone rievocato da Ficino – il verus amor (quello tra soli uomini, purché casto) godette di un grande seguito. Verus amor contrapposto all’amor volgare (quello eterosessuale, finalizzato alla mera riproduzione); una castità più dichiarata che perseguita, ossia un alibi (l’omosessualità vissuta con discrezione). Tra ‘400 e ‘500 fioccarono anche “cause astrologiche” per spiegare l’inclinazione all’amor socratico (o platonico o verus amor).
Corsi e ricorsi della storia, dicevamo, con un andamento tutt’altro che lineare. «… m’è naturalissimo a me» dice un sodomita al suo confessore in una barzelletta del 1654 (questa testimonianza, apparentemente banale e risibile, ci schiude tutto un mondo, ed è fonte preziosissima per lo storico); di queste e altre testimonianze (illuminanti) si compone Tutta un’altra storia, un’opera monumentale sulla storia dell’omosessualità (e sull’evoluzione civile del pensiero umano), una ricostruzione vastissima, ricca di implicazioni e di questioni ancora aperte, che qui, nell’economia di un breve articolo, ci guardiamo bene dall’esaurire. Nel XIX secolo contro l’omosessualità si accaniranno prima la medicina (che la teorizza e tenta di curarla quale morbo), poi la psicoanalisi (non quella freudiana, in certi aspetti molto friendly) e infine la politica repressiva (quella che si è esercitata prima col manganello e poi con la camera a gas). Accanto alle leggi anti-sodomiti o accanto a certa labile tolleranza l’identità (leggi anche dignità) omosessuale si è andata sempre più profilando anche in una chiave corporativa. Ma si dovrà aspettare il 1862 per il primo vero coming out militante: il primo a urlare «io» e a rivendicare pubblicamente il diritto alla propria felicità fu il giurista tedesco Karl Heinrich Ulrichs.
Non occorre spingersi tanto indietro nel tempo per sentir crepitare il fuoco sui roghi. Basti pensare a ciò che accadde in America nel 1952, anno in cui (sotto Eisenhower) l’omosessualità venne bollata come malattia mentale, e ne derivò che il semplice fatto di essere omosessuale fosse motivo sufficiente di licenziamento da qualsiasi impiego pubblico. «Per la prima volta nella storia umana – osserva Dall’Orto – le persone omosessuali erano trattate come “razza”, e perseguitate per ciò che erano anziché, com’era stato fatto fino a quel momento, per ciò che avevano fatto. La legge s’applicava infatti anche a una persona omosessuale che non avesse mai avuto un rapporto omosessuale in vita sua.»
Il movimento gay americano nacque nel 1969 – trovando un collante anche nello stigma negativo ricevuto come marchio dall’Excutive Order 10450 – e solo oggi (dal giugno 2015) tutti gli Stati Uniti hanno riconosciuto per legge tutti i diritti alle persone e alle coppie omosessuali. Meglio tardi che mai. E l’Italia? L’Italia non è l’America. Qui da noi le leggi per i diritti civili giacciono schiacciate da montagne di corruzione, e i nemici sono quelli di sempre: le destre aggressive e la Chiesa Cattolica. Rileggere correttamente il passato per comprendere e affrontare più consapevolmente il presente: questo c’è alla base di Tutta un’altra storia, e se ne consiglia vivamente la lettura.
Massimiliano Sardina
Cover Amedit n. 24 – Settembre 2015
“Noli Me Tangere” omaggio a Pier Paolo Pasolini.
by Iano 2015
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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 24 – Settembre 2015.
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