Tutte le anime racconta, in prima persona, di un giovane di Madrid, professore a contratto all'Università di Oxford, nel collegio di All Souls. appunto. In teoria, il suo incarico è quello di Letteratura spagnola, ma sembra che Siglo de Oro, Cervantes e García Lorca non siano la preoccupazione principale per questo professore di passaggio verso chissà quali altre mete. Perché, lo sanno tutti, anche quando si nutrono genuini interessi letterari, non si va per quello a Oxford; semmai, come dice lo stesso Marías, l'importante è esserci. E descrivere tutto quel mondo per noi, con lo sguardo viziato da un'ancestrale meridionalità.
Il quadro che ne emerge è quello di un'istituzione del tutto autoreferenziale, dove l'insegnamento non conta affatto e le dinamiche interpersonali sono improntate alla fama e al potere personale, niente ha un peso al di fuori dell'interesse spiccio, anche se in sé nobile. Manca ogni attesa educativa e la stessa istruzione è relegata nell'angolo della noia. I saggi interessano a stento a chi li scrive, le lezioni provocano lo sbadiglio di chi le tiene, gli appunti frettolosi, lungi dall'illuminare qualche angolo opaco della storia letteraria, vanno tranquillamente nel secchio della spazzatura. Insomma, un disastro.
Eppure, come io stesso ho potuto constatare, in tutto questo livore, c'è o ci può essere del vero. Questo trentenne esploratore dell'accademia britannica trova comunque degli amici. Perfino nello squallore teatralissimo delle high tables, nelle furtive e irrinunciabili sedute di eavesdropping, c'è spazio per rapporti che sfiorano la sincerità e comunque arrivano molto più a fondo delle toghe e degli abiti di mestiere. È a questo punto che, a distanza di sicurezza dal sapere e da una credibile attività lavorativa, si sventaglia la ricchezza della natura umana, delle sue ambizioni, delle sue speranze, dei suoi dolori e soprattutto delle sue debolezze.