Cara giovane Onda,
per la seconda volta, nei nostri cinque anni di storia insieme, mi metto a scrivervi una lettera di addio. Tre anni fa – mentre tornavo a casa, e pensavo le parole che vi volevo lasciare per la fine del biennio, mentre venivo a scuola, e trovavo mille segni di consapevolezza (un cartellone verde, misteri, sussurri, tante foto), ma intanto nessuno di noi poteva concedersi di pronunciare ad alta voce la parola “fine” – vi guardavo, ormai prossimi ad abbandonare Neverland, e iniziare l’avventura del triennio. E pensavo, novella Peter Pan (costretta a rimanere sull’isola), che quello che avevamo costruito insieme, giorno dopo giorno, per due anni, sarebbe stato, per sempre, insostituibile e prezioso.
Oggi, appunto a quei tre anni di distanza, mi guardo indietro, ma anche e soprattutto intorno, e vedo che quell’intuizione si è confermata giusta. Per tutto questo tempo, apparentemente da lontano, e nei ritagli (tra cortile, scale e corridoio), ma in realtà vicini come sempre, siete stati il mio punto di riferimento (“il mio Nord, il mio Sud, il mio Est ed Ovest” – potrei aggiungere se non si rivoltasse nella tomba W. H. Auden). E – così come avevo avuto il privilegio di condividere con voi i due anni a Neverland – siete stati, dopo, per tre folli e indimenticabili anni, il mio privilegio intoccabile. La classe mia, al di là e al di qua di ogni regola, gli occhi da incrociare la mattina, con riconoscimento consapevole, le opinioni da scambiare, gli appuntamenti inespressi e ricorrenti. Perché è un dato indiscusso, che noi ci apparteniamo.
Mi mancherete, giovane Onda. Mi mancherete come ciò che è un pezzo di noi in maniera ineludibile. E so che ogni giorno, ripercorrendo questi corridoi e queste aule, rivedrò il vostro cenno di intesa intuitivo e immediato; e, tutte le molte volte che mi sembrerà di non riuscire a spiegarmi, sarà alla vostra ombra che mi rivolgerò per prima, come tra chi non servono parole.
Mi mancherete, dunque. Ma, nello stesso tempo, oggi – più di allora e più di sempre – sono anche tanto fiera di voi. Che adesso vi apprestate per davvero e definitivamente a volare via da Neverland, e a iniziare un’altra strada. Fiera dei giovani uomini che avete saputo diventare: originali e indipendenti, così come eravate dalla prima volta che ci siamo conosciuti.
E allora, giovane Onda, forza e coraggio per questa ultima tappa che ci aspetta: perché “ciò che chiamiamo inizio è spesso la fine e ciò che chiamiamo fine è spesso l’inizio” (come dice T. S. Eliot).
Con quella porta che si chiude, e poi ancora si apre. Incontro al futuro, con orgoglio e coraggio.
Buona fortuna, giovane Onda.
La vostra, per sempre, professoressa,
‘povna
Così aveva scritto la ‘povna all’Onda in quella famosa lettera. E queste stesse parole le sono venute in mente, una per una, oggi, verso le sei del pomeriggio, quando l’ultimo atto si è compiuto e lei si è trovata a leggere i quadri definitivi, che recitavano la storia di una promozione meritata e giusta, e a fianco di ciascun nome il voto che segna il passaporto ufficiale per la vita vera. Calvin non c’era (anche se l’hanno chiamato subito), perché stava lavorando. Ma insieme a lei c’era (ovviamente) Corto – planato in città da Castagnone come se fosse casualmente, in compagnia del Secondo Gemello – perché, anche se non se lo erano detto in modo esplicito, era abbastanza chiaro a tutti e due che quel passaggio andava vissuto insieme.
Finisce così, mentre il sole che si abbassa all’orizzonte lascia il posto quasi a un po’ di vento. Corto accompagna la ‘povna al binario, e prende accordi per un dopo che andrà gestito con coordinate ancora ignote, e linguaggi che ancora non conoscono. La ‘povna lo guarda, gli sorride, scrive a Calvin e pensa a loro tutti, immagini e volti di questi cinque anni, che ora si apprestano a volare via dall’isola. La colonna sonora, tra le molte possibili, non c’è dubbio, fa così.