Tutti amano Moab. Non c’è nulla da fare. E’ un posto carino, in cui c’è tutto e ogni cosa è ben tenuta e curata, e soprattutto, è a due passi da Arches e Canyonlands, e questo non è da sottovalutare.
Ci svegliamo di buon ora, ci mettiamo felpe e giacche calzini di lana e una sciarpina per il collo e ci dedichiamo una zuccherosissima colazione dal Denny’s col peggior servizio di sempre, ma che ci ha regalato una mezz’ora buona di risate visto che a servirci è stato il sosia di un nostro amico. Dopo esserci tolti l’abbigliamento invernale necessario per mangiare nei diner di questa catena, ci immergiamo nella natura che questa zona dello Utah offre davvero a portata di mano.
Puntiamo ad Arches, salvo accorgerci praticamente subito che se avessimo voluto entrare nel parco ci saremmo dovuti mettere in coda a circa 80 macchine, perché quella era la fila che c’era. Ci siamo dati alla fuga e siamo corsi verso Canyonlands.
Il parco è ENORME. Ma proprio qualcosa di spropositato che di sicuro non è visitabile in un giorno, ma nemmeno in una settimana. E’ circa 1350 km2, e tanto per capirci, è più o meno la metà della provincia di Piacenza, o se vi viene meglio l’esempio, è grande 2 volte Minorca.
E di isole si parla, perché la parte più vicina a Moab (accanto a Dead Horse Point), è Island In the Sky, un lungo percorso costellato di view point accessibili e mozzafiato, a portata del piede più pigro.
Quelli che abbiamo fatto noi sono Grand View Point Overlook (voto 10, bellissimo), Buck Canyon Overlook (a due passi dal Grand View Point quindi non è molto diverso), Green River Overlook (voto 8, ma almeno capisci perché si chiama Green River) e poi il trail di Mesa Arch a cui vorrei dedicare due righe.
Allora, la mia esaltazione salterina per i parchi in cui non c’è nessuno non è tanto dovuta al credere di aver scovato un canyon sconosciuto, ma al poter godere in tutta tranquillità una meraviglia della natura, in totale opposizione a posti così imbarazzantemente affollati. Troppo affollati.
Mesa Arch è bellissimo, è enorme e si affaccia su un canyon a dir poco grandioso: è davvero una meraviglia della natura e la folla è assolutamente giustificato. Ma è PIENO di gente. E non parla la misantropa che è in me. Quando siamo andati a fare il giro mi sono ritrovata coinvolta in selfie non gradite, rischi di morte (tanti salgono sull’arco, dalla parte sinistra c’è un bel passaggio, da quella destra è pericoloso… Se poi sei un anziano con problemi di mobilità ti consiglio proprio di stare giù), pettegolezzi di viaggio (ho ascoltato con una certa perversa curiosità tutto il fastidio di una coppia che chiaramente è partita con un gruppo di amici di merda), assistito ad una caduta (watch your step, minchione!), sentito urlare in tutte le lingue del mondo. Ad un certo punto mi sentivo soffocare, e in un parco nazionale del genere è davvero un paradosso.
Qui all’alba dev’essere meraviglioso, ma calcolando la strada, la sveglia bisogna puntarla davvero presto, soprattutto d’estate.
Gente a parte, tutto Canyonlands è assolutamente imperdibile.
Una sensazione strana è stata quella di guardare la mappa e “vedere” che in fondo in un angolo c’è la Glen Canyon Dam e sapendo che la Monument Valley non è poi così lontana… Non so, mi fa sentire di avere tutto questo mondo un po’ in pugno. Stare sul bordo di uno dei canyon più fighi del pianeta mi ha travolto in un turbine di megalomania.
Torniamo a Moab, io faccio il bucato e Gianni… Va a farsi tagliare i capelli: sì perché dopo New Delhi, Bangkok, Porto, Sucre, Londra e Shouzou, per il suo compleanno, ha scelto Moab.
E come nei migliori momenti il cielo si ingrigisce. Aspettiamo il pomeriggio, per goderci Arches con una luce un po’ più morbida.
Comincia il diluvio universale. Non è che pioveva, stava proprio venendo giù il diluvio universale e di essere proprio finiti in uno di quei filmati agghiaccianti di Wheater Channel, in cui è un attimo che portano via le casa e ti ritrovi ad aggrapparti ad una pianta prima che la corrente ti porti via. Mi sentivo sequestrata in un visitor center in cui la luce continuava a saltare e i ranger a dire “ma sì dai, tutto a posto, magari evitate di fare i trail su per le rocce”.
Dopo un’ora di acqua torrenziale, chiedo al ranger se è il caso di visitare il parco e lui, con un pragmatismo tutto americano mi risponde con un bel sorriso: “certo, se non si può proseguire, ci sarà qualcuno che vi ferma”. Chiarissimo, ci mettiamo in macchina.
E Arches è così bello che va bene anche sotto la pioggia. Oddio se ci fosse stato un sole che spaccava le pietre forse era meglio e magari non ci rimandavano indietro per un allagamento, cioè non toglie che… Toglie il fiato anche se non sei sotto il Delicate Arche. Una tappa dovuta a Balanced Rock e poi via, in macchina con le dita incrociate.
Siamo stati un po’ in macchina, guardando un telefilm sperando che smettesse, e quando il cielo si è aperto siamo corsi subito dentro al trail per vedere Sand Arch, un angolo nascosto tra le rocce in cui troneggia, anche lì, un enorme arco di pietra. E l’odore di roccia bagnata mi ha rimesso in pace con quel parco che adesso mi tocca tornare a vedere. Curioso oltretutto che lì, in quella strettoia, abbiamo trovato una famiglia che mi sembrava palesemente mormona. Almeno a giudicare dal numero di figli (erano così tanti e così agitati che non riuscivo a contarli!).
Alla fine mi ritrovo a scrivere questo post con la strana sensazione che avevo tentando di raccontare cosa di prova a stare davanti al Grand Canyon, facendo una fatica tremenda a trovare le parole. Perché sono posti che chiunque va in queste zone vede, e le emozioni hanno un range di variabili che credo vada dal “bello” al “omioddio è il posto più pazzesco che abbia mai visto”.
E’ al limite del surreale, e merita una giornata intera… O almeno mezza.
Al ritorno, dopo il tramonto, siamo andati a farci un panino nell’unico posto poco turistico della città, in una parallela della via prinicipale, o meglio, dove i lampioni non illuminano più.
Da Milt’s mangi panini e chili come se non ci fosse un domani, ed è tutto buono. Ma proprio proprio buono come quando ti prepari il miglior panino con i migliori ingredienti e lo accompagni con un malts (tipo milk shake ma con molte più calorie e gusto). I grilled Sandwich (Santa Fe e Albuquerque… Da provare!) sono tra il miglior confort food trovato sulla strada, le patatine perfette. Anche perché mi ricordavano un po’ il cibo di casa mia. Chiude presto. Un po’ come la cucina a casa mia, in cui l’orario è quello… E chi c’è c’è!