Mentre la campagna “Dammi più voce”, organizzata dal Coordown, onlus con sede a Genova, ma che coordina l’attività di ben 73 associazioni sul territorio nazionale, ha visto la partecipazione di numerosi testimonial d’eccezione come Jovanotti, Carlo Cracco, Giusi Ferreri, Claudio Bisio, Diego Abatantuono, e addirittura Sharon Stone, che ha lanciato un appello. Altresì nel Regno Unito grande successo sta riscuotendo una T-shirt rossa recante la scritta: “Keep calm, it is only an extra chromosome” (“Tranquilli, è solo un cromosoma in più”) indossata da molti bambini, ragazzi e adulti con sindrome di Down, le cui foto sorridenti stanno facendo il giro del mondo grazie ai social network.
Sempre dal Regno Unito, tuttavia, giungono dati che indicano la pratica pervasiva dell’aborto in presenza di diagnosi di anomalie o malattie del feto, soprattutto in presenza di Sindrome di Down. Infatti dall’agosto scorso è in commercio in alcuni Paesi Europei un test per la diagnosi prenatale non invasiva della Trisomia 21 (Sindrome di Down). Il test, permetterebbe la diagnosi alla 12a settimana di gestazione, evitando così alla donna che ne facesse richiesta di ricorrere ad altri test diagnostici invasivi, ed ha come fine quello di dare alla donna la possibilità di interrompere la gravidanza nel caso scopra che il feto che ha in grembo sia affetto da questa anomalia cromosomica.
Tutto ciò pare scaturire dal presupposto che un bambino affetto da Sindrome di Down non possa vivere un’esistenza serena, e che magari la sua nascita e il prosieguo della sua vita potrebbero arrecare sofferenza ai suoi genitori, ai suoi familiari più stretti ed a tutte le persone che dovranno prendersi cura di lui. Tale pare essere anche l’opinione dalla giurisprudenza italiana dato che pochi mesi fa un suo pronunciamento riteneva che qualora un bambino nasca con la Sindrome di Down debbano essere risarciti sia lui che i suoi genitori per i disagi che questa nascita comporterebbe a tutto il nucleo famigliare. Notizie confortanti invece giungono dal North Dakota, primo Stato americano a vietare con una legge l’aborto di bambini affetti da sindrome di Down o con altre malattie genetiche. Una norma, altresì, proibisce di abortire oltre le sei settimane o quando il battito cardiaco del bambino venga rilevato. Tale legge, risponde al fatto che 9 bambini su 10 a cui viene diagnosticata la sindrome di Down vengono abortiti.
Ora, ritornando alle campagne di sensibilizzazione e agli accorati appelli delle star, ci piacerebbe lanciare una provocazione, domandandoci se questi artisti e queste organizzazioni sarebbero anche favorevoli a prendere posizione contro l’aborto selettivo (o eugenetico!) per queste persone.