Tutti i battiti del mio cuore

Creato il 01 ottobre 2011 da Giuseppe Armellini
E così, dopo l'ottimo Sulle mie labbra e il portentoso Il Profeta, mi ritrovo a completare la filmografia di Jacques Audiard, o quantomeno quella edita qui da noi (mancano i primi 2 film entrambi interpretati da Trintignant e Kassovitz, interessante).E ancora una volta il regista francese dimostra di saperci fare, eccome se ci sa fare. E' interessante avere un quadro (quasi) completo di un regista perchè risulta più facile individuarne le tematiche ricorrenti e cercar di capire se tra un'opera e l'altra sia avvenuta una maturazione.
Thomas (un grande Romain Duris, mix tra Rupert Everett e il nostro Argentero) è un giovane impegnato in giri un pò troppo loschi nel settore immobiliare. E' violento, cinico e "potente". Nasconde però un altro lato, molto più dolce e delicato, ama suonare il pianoforte.Ritengo ormai assodato come tra i temi principali di Audiard ci sia l'incomunicabilità e l'incapacità di capire. Se in Sulle mie labbra tale incomunicabilità  era dovuta al mutismo della protagonista (una splendida Devos, presente anche qua in una piccola parte) e ne Il Profeta all'analfabetismo di Malik, qua ne abbiamo almeno due versioni: il primo concerne la musica, tanto amata da Thomas ma incomprensibile agli altri personaggi -il padre, i colleghi- legati al mondo "duro" delle cose; il secondo è l'incomunicabilità per eccellenza, quella dovuta a lingue non conosciute, nella fattispecie mi riferisco al rapporto con l'insegnante di piano cinese che però, e qui torniamo alla musica come linguaggio, è l'unica che attraverso il pianoforte riesce a capire e comunicare con Thomas.
L'altra tematica, evidentissima, è il mondo del crimine, micro o macro che sia. Audiard ancora una volta ci racconta di personaggi al limite o parecchio al di fuori della legalità, un mondo di homo homini lupus senza possibilità di redenzione.La storia è abbastanza semplice, certo non raggiunge il livello della straordinaria impalcatura "profetiana", ma riesce comunque a muoversi in più livelli: quello del "lavoro" di Thomas, quello del suo rapporto conflittuale ma profondamente affettivo col padre, quello della relazione con la moglie del collega e quello della musica e del desiderio attraverso di essa di cambiare radicalmente la propria vita.Sogno e dura realtà, il conflitto dentro Thomas è raccontato perfettamente. Quante persone portano avanti stancamente la propria vita, il proprio lavoro avendo la testa completamente da un'altra parte, in un sogno affatto peregrino, ma semplice realizzazione di un proprio talento? Thomas riscoprirà quasi per caso la musica ( tra l'altro il più forte legame con la madre defunta) e da quel momento non riuscirà a staccarsi da essa. Quelle mani che in mille situazioni diverse, anche di pericolo, continuano a battere tasti invisibili rappresentano l'istinto, il desiderio che cerca disperatamente di uscire dalla ragione o più semplicemente dall bolla di vita che ci siamo costruiti intorno a noi.E nel finale (dopo un'ellissi un pò esagerata che lascia troppe storie e domande in sospeso), proprio nell'ultima inquadratura ci sono quelle stesse mani sporche di sangue, quelle dita che potevano volare leggiadre sopra i magici tasti di un pianoforte, ancora una volta, purtroppo, hanno dovuto fare i conti con la vita, con l'odio, con la vendetta.
( voto 7,5)

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