Chi conosce José Saramago sa già che non ci troviamo di fronte a un giallo: l'identità di questa donna è irrilevante, anche se alla fine si ha quasi l'impressione di poter fare qualche ipotesi sul suo conto che renderebbero tutto molto più eccitante. Ma, naturalmente, è su ben altri binari che scorre Tutti i nomi (1997, tit. or. Todos os Nomes, tradotto per Feltrinelli in italiano ad opera di Rita Desti). Come tanti altri romanzi dello scrittore portoghese, anche questo si basa sulla sua stessa redazione, su quella dimensione metanarrativa che tanta antipatia e insieme tanti plausi riserva al suo autore. In effetti, il premio Nobel per la letteratura del 1998 è uno di quelli per i quali l'idiosincrasia gioca un ruolo da padrone e, anche a prescindere da specifiche ragioni ideologiche, il rifiuto istintivo che suscita è pari solo alla venerazione che riscontravano, almeno fino a pochi anni fa, le sue opere. Qui non ci interessa sapere se e cosa di ciò che nel romanzo si dice sia espressione di un pensiero dell'autore, è l'opera in sé che ho letto quale prodotto compiuto.
Sotto questa angolazione, anche e proprio per il fatto che Saramago chiama in causa il nostro mondo emotivo con una spossante attività intellettuale, attività di giudizio, Tutti i nomi è un romanzo riuscitissimo. A leggerlo, più ancora che in altri titoli, è fin troppo facile identificarsi nel signor José. Intendiamoci, non perché io condivida qualche tratto peculiare di questo personaggio, anzi, bensì per qualcosa di molto più inquietante: è come se si venisse risucchiati in un meccanismo che ci coinvolge nostro malgrado, che ci risucchia in una normalità piccola e meschina. Manca l'ambizione, anche se magari trovi l'ingegno e pure la capacità di vedersi vivere, una certa ironia condivisa tra autore e personaggio (non a caso omonimi, forse anche per ridurre al minimo la percentuale dei nomi noti e non distrarre dall'idea che sottende il romanzo, senza contare che entrambi i José scrivono, sebbene il personaggio corrisponda al "grado zero" di ciò che fa l'autore). Questo distacco ironico in Tutti i nomi viene suggellato dalla scrittura del diario - una sorta di doppione letterario - da parte del signor José (che non ha equivalenti nella vita della donna cercata e dunque la riformulazione rimane appannaggio esclusivo del protagonista). A me pare, però, che pur entro questa geometria rigorosa, che con il passare del tempo diventa addirittura una formula, un sigillo autoriale, non solo non manchi la narrazione, ma questa sia addirittura molto avvincente, pur nella sua sentenziosità.
E su questo piano, devo dirlo, pur non essendo lungo, Tutti i nomi è un romanzo che richiede che ci si dedichi molto e che non per forza ripaga in termini di "piacere". Se devo distinguere tra le mie preferenze letterarie, che includono senz'altro i romanzi di José Saramago e Tutti i nomi non meno tra gli altri, e un suggerimento di lettura, mi trovo imbarazzato a proporre questo titolo. L'ossessione catalogica dell'anagrafe prima e del cimitero dopo rispetto al paradosso dell'anonimato pervasivo in un archivio fatto solo di nomi e dati/date si scontra magari con un caos felice e spensierato dell'esistenza che qui però non emerge. Coerenza dell'autore di fronte al vivere e al morire, ma non si può non sottolineare lo iato tra una domanda di senso tutt'altro che originale e una risposta - o addirittura anche solo uno sviluppo - non per forza accettabile.