Nel social dove bazzico di più, Facebook, di solito molto animato e animoso sulle questioni d'attualità, non ho visto apparire scritte sul genere "Je suis Giulio", nessun profilo si è messo il tricolore italiano sulla faccia. Nemmeno io ho fatto alcunché, se non scrivere ora queste righe. Le scrivo perché nella mia vita, nelle ore della notte specialmente, si è insinuato Giulio o almeno l'evocazione che mi attraversa dalle televisioni, dalla rete. So bene che mi passerà, ma prima che accada vorrei fermare questo momento.
Nonostante da decenni riceva notizie sconfortanti di giovani morti, prima più anziani di me, poi coetanei e ora molto più giovani di me, tanto che potrei iniziare ad essere loro padre, un certo cinismo geriatrico, un ispessimento della pelle del cuore che l'età dovrebbe portare, non è ancora avvenuto.
Avrò notizia di altri giovani morti male. Un numero incalcolabile l'han già fatto senza che ne abbia mai saputo niente in questi decenni nei quali sto passando per un pianeta meravigliosamente malato, i decenni che toccano a me e che non son toccati a troppi altri.
La vita mediatica è così. Ti avvicina sconosciuti e mentre ti soffermi su di loro ti accorgi di meno che i tuoi giorni sono contati. Il senso di infinito che accompagna necessariamente la giovinezza si protrae artificialmente con le nuove tecnologie di comunicazione relegandoci in un universo parallelo, una sesta dimensione nella quale il tempo scorre libero dalla vecchiaia, dalle malattie, dalla morte. Una notizia e poi più niente. Lo scorrimento continua, con piccole differenze in uscita ed entrata.
Forse questo mi inquieta. Giulio non mi lascia dormire perché Giulio sono davvero io. Tutti siamo Giulio.