Tutto può cambiare
di John Carney
con Mark Ruffalo, Kiera Knightley
Usa, 2013
genere, commedia, drammatico
durata, 104'
Se la musica è una componente fondamentale nella costruzione
del linguaggio cinematografico, è pur vero che la sua colonna sonora può essere
usata, a seconda dei casi in funzione drammaturgia, sottolineando così la
temperatura emotiva di un particolare passaggio scenico, oppure diventare essa
stessa oggetto privilegiato dell’indagine filmica. In maniera discreta ma
comunque preminente entrambe le caratteristiche agli occhi dello spettatore
in “Tutto può cambiare”, commedia
sentimentale con sfumature drammatiche che racconta la precarietà esistenziale
di due tipi umani, Dan e Greta, caduti in disgrazia per eccesso d’altruismo e
finalmente decisi a risollevarsi unendo le risorse di un talento genuino ma
misconosciuto nella realizzazione del disco che dovrebbe rilanciarne le
ambizioni personali e di carriera. Una scommessa che ha il sapore della favola
per le caratteristiche di vulnerabilità delle parti in causa (Dan è un
produttore discografico che vive sugli allori di un successo ormai lontano,
Greta una cantante alla sua prima, importante verifica) e per una scenografia
umana e geografica capace di assecondare la purezza dei protagonisti,
attraverso squarci urbani di assoluta empatia. Come capita quando, depurata
delle sue caratteristiche più frenetiche e commerciali,
New York offre al film
un atmosfera da “piccolo mondo antico” con le
performance canore realizzate tra
vicoli e strade del mitico
East Village.
“Tutto può cambiare” non si discosta dal tracciato tipico di
storie come quella che vede protagonisti Mark e Gretta, in cui, sullo sfondo di
un sogno americano - che in questo caso riguarda soprattutto la ragazza,
migrante in cerca d’amore e di un pò di successo - volontà e ottimismo riescono
a ribaltare la condizione di partenza, sostituendo la paura di non farcela in
altrettanti attestati di fiducia e di autostima. Una prevedibilità che si stempera in parte quando il film decide di rinunciare all’ accumulazione degli aspetti
più spettacolari e sorprendenti, normalmente utilizzati dalle produzioni
mainstream, a favore di una narrazione costruita sui
mezzi toni e su un intimismo favorito dalle belle interpretazioni di Mark Ruffalo,
e soprattutto di Kiera Knightley, assolutamente credibile in un ruolo
"musicale"che fonde determinazione e fragilità, ed al quale l’attrice
inglese fornisce la dose di sensibilità necessaria a realizzare quell’empatia che costituisce il punto di forza
di un film altrimenti normale.