Tutto quello che viene dopo il punto.

Da V

Ciò che amo di Murakami è l’importanza che dà all’introspezione. Il baratro esistenziale in cui si trovano i suoi personaggi ha sempre un caraterrere ambiguo: può uccidere o salvare, portando, in questo caso, ad una consapevolezza superiore. L’introspezione è la chiave. Attraverso una destrutturazione di sè, un riarrangiamento del proprio tessuto emotivo e vitale il protagonista risorge da quelli ceneri che lui stesso aveva creato. È un viaggio solitario e statico, tutto ciò che accade, accade dentro di lui. Il pericolo è quello di perdersi nei meandri della propria mente, di essere schiacciati da un Super-Io soffocante e punitivo. Dall’esterno nessun aiuto può giungere, se non per quei personaggi – zavorra che tentano di tenere a galla il protagonista, mentre questo immerge la testa in acque pericolese. Io sono un personaggio di Murakami. Per lungo tempo mi è stata fatta una colpa di ciò, sia da me stessa che da altri. Non è facile interagire con qualcuno che vive dentro se stesso, non riesci a ‘toccarlo’ e questo spaventa, credo. Ora – ora che si è divenati grandi, che si deve diventare grandi – mi sembra la cosa migliore che potessi essere. Non necessariamente perchè la sia oggettivamente, ma perchè è ciò che sono. Partire da ciò che si è, da ciò che si riconosce senza ombra di dubbio di essere è un buon inizio, in un tempo dove tutto muta troppo velocemente, le situazioni sfuggono di mano e ti ritrovi a vivere una vita così diversa da quella che ti aspettavi che non sei più preparta a…vivere. Alla fine ti lasci trasportare, ingnori le parti che ti hanno sempre costituita perchè il tempo per adattarsi è poco, devi essere leggera e modellarti rapidamente. Almeno in superficie. I pezzi che ti lasci dietro hanno polarità negativa e tu positiva: l’attrazione è inevitabile, dovrai farci i conti.
Ho litigato spesso con me stessa ultimamente a causa di queste strade intraprese quasi senza accorgermene,quasi senza scegliere,ma alla fine ci siamo dette: ehi pur sempre strade sono, non vicoli ciechi. Hanno nomi diversi e direzioni inattese, ma da qualche parte vanno.
Metto un punto.
Punto, barriera, stop. E davanti solo immensi spazi bianchi, senza linee da seguire.
“I know I was born and I know that I’ll die
The in between is mine
I am mine”

V.