"Red Dust" è l'esordio cinematografico di uno dei regista più in voga negli ultimi tempi, Tom Hooper. Quel Tom Hooper che ha nelle mani l'asso vincente, "The King's Speech", il film più apprezzato dai critici con premi e premi in agguato. E' anche il director di "Il maledetto United", riuscitissima prova biografica. La prima opera, dopo le prove televisive con Helen Mirren nei panni di Elisabetta I, risente di alcuni difetti, ma presenta, già al suo interno, una forma narrativa nuova, che, invece di semplificare, prende una strada diversa, e non descrive ma articola il soggetto, senza essere realmente esaustivo fino alla conclusione. Il film è un continuo flashback di tanti pezzi del passato, in cui le storie, apparentemente concluse, in realtà sono in continuo muutamento, anche mentale. Il film è un viaggio nella comprensione e nel ricordo, che ha bisogno di essere ricomposto, in un contesto storico preciso, il periodo successivo alla fine dell'apartheid e legato alla pacificazione del paese, con tribunali di confessione (e non di condanna) per i bianchi che ammettessero apertamente la responsabilità delle violenze inferte alla maggioranza nera. Il film, quindi, ha un andamento non troppo facile da comprendere, in quanto ogni azione giudiziaria è mirata non all'addebitamento della colpa, ma alla necessità, evitando un vero colpevole, di chiudere gli scheletri nell'armadio, dopo aver preso piena cognizione di essi. E' proprio per questo che il film segue la strada del ritrovamento di un ragazzo del fronte combattente, sparito da anni, le cui immagini pieni di sangue e scioccanti, sono il leit motiv del film, alla presenza di un'avvocatessa bianca da sempre vicina agli uomini di colore, cresciuta nel paese, di un politico che ha fatto parte della resistenza, e di un generale che chiede il perdono. La complessità delle storie, su cui se ne aprono altre minori, indefinite come le prime, è un elemento nuovo, ma anche limitativo per un'operazione cinematografica. La semplificazione è sostituita dalla volontà analitica di un regista-detective e, seppur la tecnica sia innovativa, il film diventa eccessivamente pesante e poco comprensibile. Detto questo, si tratta di un prodotto oltre la media, ben recitato (soprattutto dalla Swank), ma che avrebbe avuto un maggiore significato se destinato esclusivamente alla televisione.
"Red Dust" è l'esordio cinematografico di uno dei regista più in voga negli ultimi tempi, Tom Hooper. Quel Tom Hooper che ha nelle mani l'asso vincente, "The King's Speech", il film più apprezzato dai critici con premi e premi in agguato. E' anche il director di "Il maledetto United", riuscitissima prova biografica. La prima opera, dopo le prove televisive con Helen Mirren nei panni di Elisabetta I, risente di alcuni difetti, ma presenta, già al suo interno, una forma narrativa nuova, che, invece di semplificare, prende una strada diversa, e non descrive ma articola il soggetto, senza essere realmente esaustivo fino alla conclusione. Il film è un continuo flashback di tanti pezzi del passato, in cui le storie, apparentemente concluse, in realtà sono in continuo muutamento, anche mentale. Il film è un viaggio nella comprensione e nel ricordo, che ha bisogno di essere ricomposto, in un contesto storico preciso, il periodo successivo alla fine dell'apartheid e legato alla pacificazione del paese, con tribunali di confessione (e non di condanna) per i bianchi che ammettessero apertamente la responsabilità delle violenze inferte alla maggioranza nera. Il film, quindi, ha un andamento non troppo facile da comprendere, in quanto ogni azione giudiziaria è mirata non all'addebitamento della colpa, ma alla necessità, evitando un vero colpevole, di chiudere gli scheletri nell'armadio, dopo aver preso piena cognizione di essi. E' proprio per questo che il film segue la strada del ritrovamento di un ragazzo del fronte combattente, sparito da anni, le cui immagini pieni di sangue e scioccanti, sono il leit motiv del film, alla presenza di un'avvocatessa bianca da sempre vicina agli uomini di colore, cresciuta nel paese, di un politico che ha fatto parte della resistenza, e di un generale che chiede il perdono. La complessità delle storie, su cui se ne aprono altre minori, indefinite come le prime, è un elemento nuovo, ma anche limitativo per un'operazione cinematografica. La semplificazione è sostituita dalla volontà analitica di un regista-detective e, seppur la tecnica sia innovativa, il film diventa eccessivamente pesante e poco comprensibile. Detto questo, si tratta di un prodotto oltre la media, ben recitato (soprattutto dalla Swank), ma che avrebbe avuto un maggiore significato se destinato esclusivamente alla televisione.
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