Twitter, solo il 29% dei tweet induce i follower a generare una reazione

Da Kobayashi @K0bayashi

Molti si chiedono perché, con tutto il tempo che passo online, finora abbia sostanzialmente snobbato Twitter: l’account aperto solo da alcuni mesi e poco più di 120 twit generati in totale (dei quali molti derivanti da TwitterFeed, che avverte i miei follower degli aggiornamenti di questo blog) non sono esattamente un’ottima tabella di marcia per diventare il perfetto utente medio del sito di microblogging.

La risposta, da parte mia, è sempre stata una sola: se Twitter è molto utile per avere un’idea generale di ciò di cui parla il web, con i suoi trending topics e la visualizzazione panoramica sugli status update dei propri conoscenti virtuali, è anche vero che non permette di articolare la conversazione. Finora questa spiegazione è stata più che altro frutto di un’impressione personale, e come tale passibile di critiche e tacciabile di soggettività.

Ora, però, uno studio condotto da Sysomos su una base numericamente considerevole di unità informative (si parla di circa 1,2 miliardi di messaggini presi in esame) ha monitorato lo sviluppo delle conversazioni su Twitter e ha fatto emergere una serie di considerazioni davvero interessanti.

Reazioni
Le informazioni analizzate dalla compagnia americana che si occupa di social media dimostra che nel 71% dei casi un tweet non genera alcuna reazione da parte dei propri follower; di conseguenza soltanto il restante 29% dei messaggini da 140 caratteri (dunque meno di uno su tre) “smuove” qualcosa nella rete sociale di riferimento. Per alcuni può essere già tanto, per altri è decisamente poco: anche in questo caso molto dipende dalle motivazioni che spingono un utente a servirsi di Twitter.

Poco meno di un twit su quattro, il 23% del totale, genera complessivamente almeno una risposta da parte di uno o più follower, mentre soltanto nel 6% dei casi presi in considerazione l’unità di riferimento del social network è oggetto di retweet, ovvero quell’operazione con la quale un follower può “rilanciare” un contenuto senza modificarne il testo e indicandone l’attribuzione, ovvero l’utente che ha generato originariamente quell’unità d’informazione.

Sommando tutte questi risultati della rilevazione, allora, è facile trarre la conclusione che per la maggior parte dei casi Twitter non è fatto per conversare, ma nel tempo (anche per “omissione”) ha favorito una modalità di comunicazione per lo più monodirezionale, uno-a-molti/tutti, piuttosto che uno-a-uno o al limite uno-a-pochi.

Va un po’ meglio con la nuova versione di Twitter, che spinge maggiormente sulla leva conversazionale favorendo – in assenza di un sistema in stile FriendFeed (dove un elemento ”risale” in cima allo stream ogni volta che si genera una reazione) o al limite in stile Facebook (dove esiste una sezione dedicata ai “più popolari” che raccoglie quegli elementi che hanno saputo attrarre più reazioni da parte degli amici) – il recupero delle informazioni precedenti per chi dovesse inserirsi nella possibile conversazione solo in un secondo momento, magari senza aver intercettato il twit di partenza.

Retweet

Ecco appunto, non si è ancora accennato al fattore tempo. Importante, importantissimo secondo la ricerca: più passano i minuti e più difficilmente si otterrà un retweet da qualche utente. La rilevazione di Sysomos evidenzia infatti che addirittura nel 92,4% dei casi il rilancio di un tweet avviene nella prima ora dopo la sua pubblicazione, e solo il rimanente 8% giunge dopo i 60 minuti iniziali. Nella seconda ora la percentuale di RT si inabissa all’1,63%, per dimezzarsi ulteriormente nei seguenti 3600 secondi, giungendo a quota 0,94% entro lo scoccare della terza ora e diventando con il tempo che passa sempre più improbabile.

@reply
Anche le risposte ai tweet, quelle che contengono all’inizio del testo la dicitura composta da @ + il nickname dell’utente con cui si sta per interagire (@k0bayashi, nel mio caso), non sono poi così frequenti: 23 ogni 100 messaggini, poco meno di una ogni 4. Ma quanto durano le conversazioni così generate? Spesso poco, anzi pochissimo. Nell’84,81% dei casi, infatti, queste risposte si rivelano infruttuose dal momento che non generano ulteriori reazioni, mentre nel 10,7% dei casi in cui si innesca un accenno di conversazione quest’ultima termina mestamente già dopo la seconda battuta (messaggio originale, risposta e risposta alla risposta). Del 23% di partenza, infine, solo nell’1,53% dei casi si arriva al terzo livello di risposta (messaggio originale, risposta, risposta alla risposta e risposta alla risposta della risposta), che comunque spesso non è sufficiente per dare un senso e un valore determinante allo scambio comunicativo.

Anche nel caso delle risposte, però, si scopre che ben il 96,9% di queste occorrono nei primi 60 minuti dalla pubblicazione del tweet originale, mentre già dalla seconda ora questa percentuale crolla all’0.88% per poi finire nel baratro dell’oblio del social network.


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