Il dilemma tuttavia è che c'è subito uno squadramento di fondo a scattare e a sgretolare rapida la costruzione delle dinamiche di "Two Mother", dinamiche che, nella loro spessa assurdità, se maggiormente curate avrebbero potuto portare senza dubbio a dei frutti quantomeno più maturi. Ogni cosa nella pellicola della Fontaine accade infatti con estremo e puntuale schiocco di dita, qualsiasi svolta o colpo di scena, oltre che telefonato, vien montato in maniera priva di logica e di credibilità, affossando così la narrazione prima ancora che questa possa entrare nel vivo ed esplodere nei crismi previsti. Già l'ambientazione, isolata dal mondo e paradisiaca, sembra non possa servire ad altro che a inoltrare i protagonisti in quello che dovrà essere lo scenario programmato, irrobustita inoltre da una totale e incomprensibile separazione dalla vita cittadina che per niente aiuta i due fusti figliocci a frequentare coetanee in grado di tagliare quel cordone ombelicale sul quale le loro madri evidentemente hanno preferito ordinare un nodo.
Serve l'inquadratura finale ad Anne Fontaine per contattare la regolare ispirazione e scovare il segreto per colpire in immagini, racchiudendo con esse, al meglio, il significato della tratta che fino a quel punto aveva faticato a protendere. Succede quando metaforicamente muove i suoi burattini portandoli a naufragare nell'iceberg delle scelte che oramai nessuno di loro ha più né il coraggio e né la voglia di rivedere per via della paura di uscire nuovamente da quel piccolo paradiso, divenuto inferno, lontano dal quale adesso vivere si è tramutato incarico faticoso come non mai.
Ma ciò è solo un bagliore scatenato in ritardo, una luce troppo esigua per andare a salvare l’intera posta in palio.
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