Primo, perché sarà lunghissimo.
Secondo, perché sto per addentrarmi in un mondo a cui sono estranea e di cui non posso vantare esperienze se non quelle vissute passivamente o per acquisizione: non ho neanche un goccio di acqua salata nelle vene! E' triste ma è la dura verità.
Di lago, un buon 50%, ma se parliamo di salmastro, l'unico effetto che ha su di me è quello di ridurmi i capelli alla stregua di una scopa di saggina.
La mia famiglia non ha mai avuto una barca; qualsiasi cosa che ondeggi sotto di me, mi provoca un terribile malessere.
Mio padre pescava carpe fangose nel laghetto artificiale della tenuta in cui sono cresciuta mentre io guardavo Sampei alla televisione.
Le uniche volte in cui ho creduto di essere un vero pescatore, sono state quelle in cui ho trascinato a fatica un rastrello più grande di me per raggranellare una manciata di arselle, durante le mie estati di bimba all'Ansedonia.
Nonostante ami il pesce perdutamente, posso contare sulle dita le volte in cui l'ho mangiato veramente buono e le ricordo tutte, compreso il fatto che il vero pesce freschissimo, appena scaricato dal peschereccio, è quello che trovo a casa dei miei suoceri, in Molise.
Suoceri Molisano/Pugliesi che hanno per il pesce una totale venerazione.
Difficilmente compro pesce dove vivo, perché non ne trovo degno di questo nome.
La grande distribuzione ci offre molti prodotti decongelati e per avere l'illusione di mangiare un pescato autoctono e decentemente fresco, bisogna cogliere l'attimo e fiondarsi al banco pesce il venerdì o il sabato.
In ogni caso, sul Tirreno, che è il versante in cui vivo, non vi è una vera e propria tradizione di "brodetti". Qui si parla di zuppe, spesso maschie e robuste che poco si avvicinano alla tradizione Adriatica, che è quella che paradossalmente conosco meglio, proprio grazie alla famiglia di mio marito.
Così per questa sfida meravigliosa, voluta fortemente da Anna Maria, la vincitrice dell'MTC 54 con una ricetta che celebrava il miele in un post che è un omaggio alla vita, il mio primo ed unico pensiero è andato ad un piatto molisano, che è la bandiera e l'orgoglio di una delle più belle cittadine di mare della nostra penisola: Termoli.
Per questo devo ringraziare con tutto il cuore i miei cari Pino e Lucia, cittadini veraci di Termoli, che mi hanno aiutato a ricostruire la storia di questo piatto.
Chiedere questa cosa a chi ama profondamente il cibo è mortalmente complicato, perché si rischia di dover fare una lista infinita.
Considerando la propensione alla logorrea della sottoscritta e la lunghezza di questo post cercherò di sintetizzare: hanno fatto e fanno la differenza tutti quei momenti in cui ho potuto condividere del buon cibo con le persone che amo; quando ho la fortuna di incontrare qualcuno che fa del rispetto della materia prima e del territorio la propria missione in maniera appassionata, consapevole, onesta (e questi incontri fortunatamente sono stati molti fino ad oggi); hanno fatto la differenza le scoperte in viaggio, quando attraverso il convivio ho potuto accedere almeno in parte, alla cultura di un popolo (questi i momenti per me più intensi); non ultimo ogni volta che ho provato un'emozione profonda di fonte alla bontà delle cose semplici, come una fetta di pane strofinato con un pomodoro ancora caldo di sole o il siero di latte di mozzarella di bufala che ti cola lungo il mento subito dopo averla pescata dalla vasca e morsa in diretta, o l'assaggio del primo olio verde e piccante che scende denso sulla fetta di pane direttamente dalla pressa...Potrei continuare ad oltranza ma vi risparmio.
Questa sfida diventa quindi il pretesto per parlarvi di un piatto spettacolare, che racconta la storia di un luogo, della sua gente e di un passato che si è perso e che si cerca di mantenere vivo in una zuppa.
Tornola è il rione più antico del borgo Vecchio di Termoli, quello in cui vivevano la maggior parte dei pescatori e dove si dice sia proprio nato questo brodetto.
Un piatto antichissimo, di cui si hanno le prime tracce scritte solo nel settecento, proprio quando in Italia il pomodoro entrò in tutte le case.
Gli storici sono certi che una versione "bianca" di questa minestra fosse già consumata dagli abitanti di Termoli nel XVI secolo, nel periodo in cui i Viceré di Napoli fecero costruire le prime torri a difesa dei Saraceni, quindi subito dopo la scoperta dell'America.
Era a tutti gli effetti la cena del pescatore che, sbarcato dalla paranza al calar del sole, riportava a casa la "schaffetta", una porzione di pescato povero, la rimanenza dopo la vendita del pesce migliore alle famiglie benestanti.
Si può immaginare come sia impossibile codificare una ricetta che nei secoli ha seguito la regola del "quel che c'è" e che era diversa da famiglia a famiglia, da mano a mano.
Ancora oggi, ogni ristorante di Termoli afferma di preparare il vero e solo Vredétte de Tornola, ma la vera ricetta resta il tocco della mano di chi lo prepara ed una materia prima di impareggiabile freschezza.
La differenza la fa la conoscenza dei tempi di cottura dei pesci utilizzati, dei gesti e della memoria sensoriale di chi ha avuto la fortuna di assaggiare questo piatto preparato come si deve.
Secondo la tradizione che si rifà all'Ultima Cena, le tipologie di pesce da utilizzare dovrebbero essere almeno 13, tra cui crostacei come Cicale (che io non ho trovato e sostituito con scampetti), molluschi come seppioline o polipetti, trigliette, gallinelle, piccoli merluzzi, scorfanetti, tracine, saraghetti, lucerne, gattucci, occhiate, razze, coda di rospo e una manciata di cozze e vongole (anche se i più tradizionalisti le mettono al bando a favore delle lumachine di mare). Gli intenditori considerano un brodetto completo solo con la presenza di grongo e pinna nobilis (o cozza penna).
Nessun genere di pesce azzurro è previsto così come non vi è alcun elemento acido come vino bianco o aceto (sia mai) se non la fresca acidità del pomodoro.
Immancabile è invece il peperone verde, che firma con incredibile delicatezza il carattere di questo piatto commovente.
Il Brodetto termolese aveva una variante più rustica che adesso si è perduta ma che i vecchi ricordano come il piatto della "fratellanza" fra pescatori: il Pappone.
Anche in questo caso si trattava di una zuppa di scarto con pesci senza spine, che però aveva una ritualità tutta sua. Veniva preparato sulla spiaggia cotto su un falò o in navigazione sulla paranza, dai pescatori e servita direttamente nell'unico tegame di terracotta in cui era cucinato. I pescatori si servivano a turno, mangiando dal tegame con la propria forchetta. La zuppa era arricchita da molto pane raffermo di grano duro che assorbiva il brodo e rendeva più semplice e nutriente l'impresa.
Questo momento ricreava l'intimità familiare, rafforzava l'amicizia e tentava di colmare quella nostalgia di casa radicata nel cuore di ogni pescatore.
Quando il pesce scarseggiava, si raccoglievano le breccioline del bagnasciuga coperte da minuscole alghe con foglioline simili a quadrifogli e si bollivano nell'acqua con olio e odori per poi servire la zuppa con tanto pane raffermo a calmare la fame.
Del brodetto di Tornola esiste una ricetta depositata in un ufficio notarile di Isernia a ricordare quanto serio e prezioso sia questo piatto per i Termolesi.
- Si cuoce in un ampio tegame di terracotta per distribuire uniformemente il calore.
- Il pesce non si sfiletta né si taglia a pezzi ma va eviscerato con cura e mantenuto intero a parte le triglie che vanno squamate accuratamente. Gli ortodossi di questo piatto affermano che il pesce andrebbe tenuto il meno possibile in acqua dolce mentre lo si prepara, altri lo laverebbero esclusivamente in acqua salata. Non va privato della testa ma vanno eliminate le pinne ed accorciata la coda.
- Il tempo di cottura dipende dalla pezzatura dei pesci e dalla loro tipologia. L'ordine prevede che si inseriscano per primi molluschi e crostacei e per ultimi i pesci con la polpa più tenera e delicata come triglie e merluzzetti. In ogni caso, una volta posizionati i pesci nel tegame, non vanno più toccati né quantomeno mescolati.
- La cottura è veloce quindi è consigliabile non allontanarsi dal tegame. Il pesce è pronto quando l'occhio diventa una pallina bianca. I profumi del brodetto non prevedono l'aggiunta di basilico ma non va assolutamente trascurata la presenza di un ottimo extravergine, possibilmente di terra Molisana.
- Si serve caldissimo rigorosamente con pane casereccio di grano duro di qualche giorno o adeguatamente tostato.
1,5 kg di pesce misto da paranza tra cui qualche cicala di mare, molluschi come seppioline o polipetti, trigliette, gallinelle, piccoli merluzzi, scorfanetti, tracine, saraghetti, lucerne, gattucci, occhiate, razze, coda di rospo e una manciata di cozze e vongole
400 g di pomodori pelati maturi e senza semi
1/4 di peperone verde dolce piccante
2 spicchi d'aglio
un mazzetto di prezzemolo
5 generosi cucchiai di olio extra vergine Gentile di Larino
sale qb
Pulite il pesce accuratamente, eviscerandolo e sciacquandolo per eliminare le tracce di sangue. Tagliate pinne e coda. Squamate bene le triglie.
Lavate accuratamente cozze e vongole.
Eliminate le barbe dalle cozze e spazzolatene bene le valve quindi fate spurgare in una ampia ciotola con un pizzico di sale, smuovendo ripetutamente la bacinella e cambiando spesso l'acqua fino al momento della cottura.
Scottate in acqua bollente per qualche istante i pomodori su cui avrete inciso una croce, spellateli e tagliateli in quarti eliminando i semi. Tenete da parte i petali di pomodoro.
Lavate il peperone, tagliatelo in pezzi lunghi non più di 3 cm e tenete da parte.
Cuocete a fiamma gentile insaporendo l'olio per mezzo minuto quindi aggiungete i pomodori, il peperone ed il prezzemolo tritato, quindi dopo 3/4 minuti aggiungete polipetti e seppioline, i crostacei e le cozze con le vongole.
Fate cuocere mescolando per cc.a 5 minuti fino a che cozze e vongole non saranno aperte.
A questo punto cominciate ad aggiungere i pesci posizionandoli con delicatezza sul fondo del tegame cominciando con quelli dalla polpa più tenace tipo scorfanetti, gallinelle, razza, coprendoli con acqua calda, ed aggiungendo successivamente i pesci dalla polpa più delicata come tracine, merluzzi e triglie che saranno aggiunti negli ultimi 5/6 minuti di cottura. Aggiungete acqua via via che inserite i pesci. In totale il brodetto dovrà cuocere una 15na di minuti.
Il sale va aggiunto con oculatezza per non mascherare il sapore del pesce.
Si serve a tavola, nel tegame in cui è stato cotto lasciando che i commensali possano servirsi da soli.
Ha un sapore morbido dolce e avvolgente, con un ritorno leggermente piccante ed il profumo inebriante del peperone che meravigliosamente si sposa con il sapore del mare.
A casa dei miei suoceri, si mangia prima il pesce e nel meraviglioso brodo rimasto, senza filtrare, si cuoce la pasta, preferibilmente spaghettini spezzati: l'ottava meraviglia.
Un esperimento direi riuscito visto il gradimento della famiglia.
Ho cercato la ricetta in rete in quanto la mia conoscenza in materia di panificazione è minima, è mi è venuta in soccorso Alessandra.
So benissimo che il risultato sarebbe stato ben diverso utilizzando del lievito madre, ma al momento non ho ancora deciso di entrare nel tunnel.
Per la biga:
250 g di semola di grano duro rimacinata
125 g c.ca di acqua (ma potrebbe essere di più in base a quanta ne assorbe la vs semola)
5 g di lievito madre secco
Per l'impasto finale
la biga
250 g di semola rimacinata
150 g di acqua (c.s)
10 g di lievito madre disidratato
1 cucchiaino di miele (o 2,50 di malto)
10 g di sale.
Cominciate con la biga la sera prima. Deve lievitare tra le 13/18 ore. Io ho cominciato alle 17.00 per avere il pane pronto alle 11.00.
Mettete la semola con il lievito e l'acqua in una ciotola ed impastate velocemente per 3/4 minuti, ottenendo un impasto grumoso e poco raffinato. Incidete una croce sopra e coprite con pellicola.
Lasciate lievitare in ambiente dai 17/21°C.
Anche la temperatura dell'acqua è molto importante, ed in genere si attesta tra i 14/16 gradi.
D'estate si consiglia l'utilizzo di acqua di frigo per non accellerare la lievitazione.
Il giorno dopo la vostra biga sarà pronta se avrà triplicato la sua dimensione e presenterà numerosi fori con un leggero sentore alcolico.
Versate la semola nella ciotola dell'impastatrice, aggiungete la biga, il resto del lievito, il miele e l'acqua. Impastate con il gancio per c.ca 3 minuti a velocità bassa.
Quando l'impasto sarà ancora morbido, ma non prima dei 3 minuti, aggiungete il sale ed aumentate la velocità a 4 continuando ad impastare per altri 4/5 minuti, fino a che l'impasto non si aggrapperà fortemente al gancio ed avrà un aspetto liscio.
Toglietelo dalla ciotola e dategli una forma tonda, lasciandolo riposare per 40 minuti coperto da un canovaccio pulito.
Adesso passate alla pezzatura. In questo caso potrete fare un'unica pagnotta.
Per ottenere una bella palla stretta, procedete alla pirlatura ripiegando i bordi della palla verso il centro e ruotando l'impasto mentre pirlate. Quindi lasciate l'impasto sulla spianatoia (appoggiato ad un foglio di carta da forno) con la chiusura verso l'alto.
Dovrà lievitare per almeno un'altra ora coperto da un canovaccio.
Preriscaldate il forno a 230°. Io ho riscaldato anche la pietra refrattaria su cui ho poi capovolto con delicatezza il pane una volta lievitato.
Ho inciso profondamente la superficie con 4 tagli paralleli ed ho infornato dopo avre spruzzato acqua fredda nel forno, per avere un lieve vapore.
Dopo 20 secondi dallo spruzzo, mettete il manico di un cucchiaio di legno tra la porta del forno per avere un leggero tiraggio e lasciatelo così per 10 minuti. Quindi chiudete e proseguite la cottura per altri 30 minuti c.ca.
Ricordate di abbassare a 200° la temperatura negli ultimi 15 minuti di cottura.
Per la cottura dovrete affidarvi al vostro forno. Il mio ha richiesto c.ca 10 minuti in più perché è notoriamente più basso nelle calorie, ma potrete fare la prova della "bussata": battendo sotto la base del pane, questo dovrà suonare a vuoto.
Lasciate raffreddare completamente su una gratella prima di tagliarlo.
Con questa ricetta sono onorata di partecipare alla sfida #55 dell'MTC di Marzo sul Broeto dell'Adriatico di Anna Maria