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Uccise tre persone a picconate a Milano nel quartiere Niguarda, Kabobo condannato a 20 anni
Creato il 05 giugno 2014 da Paolo Ferrario @PFerrarioNonostante la malattia mentale, si legge nel documento, il 31enne «aveva conservato la capacità di comprendere il valore e il significato del suo comportamento e di agire di conseguenza» . «Egli – si legge nelle motivazioni – era perciò in grado di orientare la sua condotta anche durante la commissione dei reati secondo le motivazioni che non sono ascrivibili alla malattia e in questo senso i periti concludono per una capacità di comprendere il volere e il significato del suo comportamento e di agire di conseguenza». Il giudice ha riconosciuto all’imputato la semi infermità mentale, ma non è stata soltanto la malattia del ragazzo a guidarne la furia, ma anche «la condizione di stress derivante dalla lotta per la sopravvivenza ha inciso sulla patologia di base, aggravando la sintomatologia delirante e allucinatoria e la compromissione cognitiva». La pena prevista sarebbe stata 30 anni, ridotta a 20 per la scelta del rito abbreviato e per la semi infermità mentale.
Era l’11 maggio del 2013 quando nel quartiere Niguarda di Milano, armato di piccone, Adam Kabobo aggredì e uccise tre persone, una furia a cui altri passanti riuscirono a sfuggire. Alessandro Carole’, disoccupato di 40 anni, era stato aggredito davanti a un bar-gelateria, Daniele Carella, di 21, mentre era al lavoro con il padre a distribuire giornali, Ermanno Masini, pensionato di 64 anni, era stato assalito mentre portava a spasso il cane, mentre altri due uomini erano stati feriti. Durante l’interrogatorio in carcere, Kabobo disse di sentire delle voci che lo guidavano. Per il gup, però, «non si è limitato a giustificare la sua condotta riferendo la presenza delle voci, ma ha espresso chiaramente il suo stato di rabbia verso un mondo che non lo accoglieva, non gli prestava aiuto, non soddisfaceva le sue primarie esigenze di vita». In alcuni momenti, l’omicida si è dimostrato lucido: quando ha scelto di cambiare l’arma (prima una spranga, poi il piccone), quando ha rubato alcuni oggetti alle vittime, quando «ha tentato la fuga, ma prima si è liberato dell’arma» all’arrivo dei carabinieri.
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