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UCRAINA: C’è aria di spartizione. Mentre a Kiev fanno la voce grossa

Creato il 26 marzo 2014 da Eastjournal @EaSTJournal

Posted 26 marzo 2014 in Slider, Ucraina with 1 Comment
di Giovanni Catelli e Matteo Zola

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Gli eventi degli ultimi giorni fanno pensare al prossimo giungere di ore cruciali per l’Ucraina. Le azioni compiute dai politici e i toni utilizzati nei confronti di Mosca non fanno pensare ad un paese che intenda trovare un accomodamento con il potente vicino. Il governo a interim in carica a Kiev ha firmato la parte politica dell’accordo di associazione con l’Unione Europea, gesto estremamente sgradito alla Russia; inoltre quello che inquieta sono i toni usati, quasi che il governo ucraino fosse spalleggiato da potenti eserciti occidentali, invece che dal nulla: Julia Timosenko, dopo la firma ha annunciato: “La Russia ha perduto per sempre l’Ucraina”; il premier Jatsenyuk, oltre ai consueti proclami sul fatto di non rinunciare mai alla Crimea già perduta, usa toni bellicosi che contrastano del tutto con la necessità vitale di migliorare le relazioni con la Russia. Si ha quasi l’impressione che i politici ora al governo si stiano preparando a perdere una parte del paese, e parlino ormai solo a quell’Ucraina occidentale che li sostiene e che è la vera madre della rivolta di Maidan. Nella parte orientale cominciano invece le prime manifestazioni e richieste di referendum per annettersi alla Russia.

L’ipotesi di una spartizione del paese è tutt’altro che remota. Il vice-presidente della Duma russa, Vladimir Zhirinovsky, ha scritto una lettera indirizzata ai parlamenti di Polonia, Ungheria e Romania nella quale si propone un accordo per la divisione dell’Ucraina. Zhirinovsky non è un politico di primo pelo, leader della destra nazionalista (il nome del partito, ovvero “liberal-democratico”, non deve ingannare) e generale dell’esercito, ha rappresentato negli anni una alternativa di facciata a Putin. Nella democrazia controllata russa le opposizioni servono a raccogliere il dissenso mantenendolo comunque all’interno del sistema di potere. Un sistema di cui Zhirinovsky è un esponente di spicco. Ecco perché la sua lettera non va presa alla leggera: dietro di lui c’è il Cremlino.

La lettera propone che la parte orientale dell’Ucraina venga annessa alla Russia attraverso un referendum: Karkhiv, Odessa, Kremenchiuk, rientrerebbero in quest’area. La parte occidentale, con Leopoli, Ternopil, Rivno, Ivano-Frankivsk potrebbe essere annessa alla Polonia (o più probabilmente a formare uno stato autonomo). La Romania potrebbe invece prendersi Chernivtsi e l’Ungheria la regione Transcarpatica, con Uzhgorod. L’Ucraina centrale formerebbe uno stato ucraino indipendente ma dal dubbio destino, una sorta di “stato cuscinetto” tra i due blocchi. Un modo – secondo Zhirinovsky - per riparare ai danni della Seconda guerra mondiale. 

Il governo polacco ha già bollato come “delirante” la proposta del vice-presidente della Duma e questo piano di annessioni, effettivamente lo è: non tutti i paesi europei hanno voglia di prendersi fette di territorio tramite referendum pilotati, per poi trovarsi aree depresse in cui investire miliardi di euro che non ci sono. L’ipotesi della spartizione non è tuttavia da sottovalutare. 

 Nell’Ucraina orientale la regione del Donbass è ricca di risorse naturali, a cominciare dall’immenso bacino carbonifero. In alcune aree intorno a Donetsk, Lugansk e Dniepropetrovsk ci sarebbe la possibilità di estrarre shale gas (il cosiddetto “gas di scisto) prezioso per una Russia che vede in diminuzione le estrazioni dai giacimenti siberiani. Nell’oblast di Zaporižžja c’è poi un’importante centrale nucleare. 

Per la Russia l’accesso alla Crimea nelle attuali condizioni è difficoltoso, oltre che economicamente svantaggioso, e la costruzione di un ponte sullo stretto di Kerch richiederebbe anni, oltre che ingenti finanziamenti: la tentazione di creare un cordone terrestre per raggiungere la Crimea è dunque molto forte. Si dovrà capire se la Russia avrà la volontà di impadronirsi del Donbass e della costa del mar d’Azov, separando l’ucraina dallo sbocco al mare e creando così un mare nostrum russo. Ipotesi, quest’ultima, assai conveniente: annettendosi la terra, Putin si prende anche il mare. E il mar Nero è ricco di idrocarburi al punto che compagnie energetiche come ExxonMobil, Chevron, Shell, Repsol, e Petrochina stavano trattando con Kiev per iniziare le esplorazioni. Forse tra qualche tempo dovranno trattare con Mosca.

Si ha la sensazione che per l’Ucraina si prepari un destino di tipo jugoslavo, con la separazione dolorosa delle sue anime ucrainofona e russofona. In queste ore sembra tutto fermo, ma le truppe ammassate al confine russo-ucraino aumentano, come pure quelle in Transnistria (altra entità filo-russa al confine con la Moldavia). La Nato non è da meno e sta organizzando una “esercitazione” militare congiunta con la Polonia mentre il Regno Unito ha deciso di mantenere tremila uomini in Germania come “segnale per Putin”. Gira voce che molti cittadini polacchi residenti all’estero abbiano ricevuto una cartolina dal ministero della Difesa di Varsavia che li invitava a rientrare in patria per un periodo di addestramento di qualche settimana. Le notizie si inseguono e non è da escludere che la fatale scintilla si possa accendere a ovest e non solo a est.

Ci si augura che Usa e Russia riescano a trovare un accordo, ma l’impressione è quella che Vladimir Putin cercherà di ottenere ciò che più sarà vantaggioso per lui, e per mantenere a un livello economicamente non troppo gravoso il costo dell’acquisizione della Crimea. L’Europa starà a guardare, forse pensando a Chamberlain.

Tags: Crimea, crisi in Crimea, Giovanni Catelli, matteo zola, Putin, spartizione ucraina, Ucraina Categories: Slider, Ucraina


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