A tal proposito, il provvedimento votato dall’Europarlamento arriva qualche giorno dopo che il senatore John McCain, esponente di punta del Partito Repubblicano e in corsa per la Casa Bianca alle Presidenziali 2008 (vinte poi da Obama), ha “ricordato” ai partner europei che la decisione sulla revoca delle sanzioni Ue alla Russia spetta solo a Washington. Una coincidenza senza dubbio sorprendente, come tutte le coincidenze. Ma questa ha qualche sfumatura che tende all’inquietante.
Quello che è accaduto nell’Aula di Strasburgo è benzina sul fuoco. Fino a poche settimane fa la condizione sine qua non per un reset nelle relazioni bilaterali era il rispetto degli accordi di Minsk da parte russa, e poteva starci. Ma ora, proprio quando sarebbe servito un intervento pacificatore sia nei rapporti con la Russia, ma soprattutto in quelli tra i membri Ue divisi sul tema-sanzioni, arriva una risoluzione che quasi suona come una sfida. Vincolare l’avvio di un processo di normalizzazione nei rapporti con Mosca ad una retromarcia di russa in Crimea è pura follia. È porre una condizione irrealizzabile. C’è da chiedersi se chi ha votato quel provvedimento se ne sia reso conto o no.
Stupisce e continua a stupire il doppiopesismo con cui le istituzioni comunitarie approcciano alle gravi tensioni internazionali. Quella Ue che continua a ritenere illegittimo il referendum con cui nel marzo 2014 i russi di Crimea scelsero a stragrande maggioranza di staccarsi dell’Ucraina ultranazionalista di Euromaidan per unirsi alla Russia, è la stessa Ue che ha riconosciuto il Kosovo come stato sovrano, dando al referendum indipendentista del 2008 – tenuto in piena violazione dei dettami dell’Onu – una legittimità su cui la stessa Corte Internazionale di Giustizia, chiamata a pronunciarsi nel 2010, ha manifestato più di un dubbio.