Ueda Akinari nacque a Ōsaka nel 1734, figlio illegittimo, secondo alcune fonti, di una prostituta del quartiere di piacere di Sonezaki. Riferimenti a questa circostanza compaiono anche nelle memorie dello scrittore.
La nascita illegittima non avrebbe pesato più di tanto sulla vita dello scrittore, che verso i tre anni fu adottato da una famiglia di mercanti di olio e carta, gli Ueda, da cui derivò anche il cognome.
Gli anni della giovinezza, in certa misura liberi da responsabilità e dediti all’ozio e ai divertimenti, non furono molto diversi da quelli dei giovani benestanti della sua generazione, in una città giapponese come Ōsaka, prospera e vivace, che da tempo era diventata uno dei maggiori centri economici del paese e nucleo propulsore di un profondo rinnovamento culturale che proprio dai ceti urbani traeva ispirazione e vitalità.
Figlio di mercanti, Akinari ebbe però, come si addiceva al suo status di cittadino agiato, il privilegio di ricevere un’istruzione accurata: non solo lo haikai, il nuovo genere di poesia breve che si era imposto nel secolo precedente, ma anche lo waka, la “poesia giapponese” per eccellenza, la lirica classica che era stata per secoli l’espressione più raffinata della cultura aristocratica gravitante attorno all’ambiente di corte; ed ancora, la letteratura cinese e la pittura, anche se, come egli stesso avrebbe affermato, la deformità che l’aveva colpito alle mani in seguito ad una grave forma di vaiolo contratta da bambino, gli avrebbe impedito di diventare un maestro nell’arte del pennello.
Alla morte del padre adottivo, nel 1761, Akinari si trovò a ereditarne il negozio e la direzione degli affari; compito in cui non eccelse, preferendo indubbiamente, ai calcoli ed all’inseguimento del profitto, attività assai meno remunerative sul piano economico, quali potevano essere quella dello studioso o dello scrittore, una scelta, quest’ultima, ben poco prestigiosa anche dal punto di vista sociale.
Nel 1767 apparvero le due prime raccolte di racconti a lui attribuite, firmate Wayaku Tarō ( Tarō il traduttore), uno dei vari pseudonimi usati da Akinari nel corso della sua carriera. Shodō kikimimi sekenzaru (Scimmie di questo mondo che hanno orecchio per tutte le arti) e Seken tekake katagi (Caratteri di concubine di questo mondo), sono due opere dedicate alla realtà contemporanea, vicine come atteggiamento e come impostazione a quei “racconti del mondo fluttuante” (ukiyozōshi) dei quali, circa una generazione prima, Ihara Saikaku era stato il maggior rappresentante ed inimitabile maestro.
Nel 1771, il negozio degli Ueda fu distrutto da un incendio e Akinari rinunciò, presumibilmente senza troppi rimpianti, alla professione di mercante, per seguire la strada della medicina, che avrebbe esercitato a Ōsaka dopo circa due anni di studio e apprendistato in provincia.
Scrupoloso, irascibile, contrario ai compromessi, introverso, scontroso fino alla misantropia (secondo l’immagine che si ricava dai suoi diari), Akinari non avrebbe ricavato dalla medicina grandi soddisfazioni, tranne forse quella di poter approfondire gli studi cinesi, di cui era già un buon conoscitore, e, secondo alcune fonti, di aver avuto come maestro Tsuga Teishō, medico di Ōsaka, ma anche esperto di letteratura cinese e a sua volta autore di romanzi storici ad essa ispirati.
Del resto, durante gli anni in cui fu medico, Akinari non abbandonò mai gli studi classici, impegnandosi altresì in un’aspra polemica con il maggior filologo del tempo, Motoori Norinaga, del quale avrebbe criticato senza mezzi termini le proposte di ricostruzione della lingua antica, oltre che l’atteggiamento fideistico di ritenere inoppugnabili le fonti indigene.
Nel 1787, a 53 anni, Ueda Akinari decise di rinunciare definitivamente alla carriera medica per dedicarsi solo agli studi ed alla scrittura. Appartengono a questo periodo alcuni suoi studi sullo Ise monogatari, sul Man’yōshū e saggi sulla cerimonia del tè, importante interesse dello scrittore negli anni della vecchiaia.
Gli anni seguenti furono segnati da una crescente solitudine e da una serie di continui trasferimenti da un quartiere all’altro della città, ora in un tempio Zen, il Nanzenji, ora nel vicino Saifukuji, ora nella casa di un discepolo ospitale. La malattia che lo aveva colpito agli occhi rendendolo quasi cieco non gli impedì comunque di continuare il suo lavoro di minuzioso erudito e di raccogliere una serie di manoscritti che tuttavia, in un momento di sconforto, avrebbe gettato in un pozzo, accompagnando il gesto con una poesia rimasta famosa: “I sogni di un tempo non si realizzeranno mai, perché la mia anima è caduta nel vecchio pozzo e il mio cuore è freddo”.
Malgrado ciò, l’anno seguente (1808), a 74 anni, Akinari avrebbe completato lo Harusame monogatari (Racconti di pioggia di primavera), una raccolta di dieci racconti di ambientazione storica ai quali si era dedicato ormai da parecchi anni e che rappresentano l’espressione più compiuta della sua visione del mondo e della storia, del suo credo religioso e morale. Dello stesso anno è anche il già citato Tandai shōshinroku, un insieme di osservazioni, note autobiografiche, considerazioni sulla letteratura e sull’arte, riflessioni sulla propria vita, ricordi.
Morì nel 1809 e fu sepolto all’interno del Saifukuji dove, secondo la tradizione, aveva egli stesso fatto costruire una tomba, ai piedi di un albero di susino.
Written by Alberto Rossignoli
Fonte
U. Akinari, Racconti di pioggia e di luna, a cura di M.T. Orsi, Marsilio, Venazia 1988