Oggi mi sono iscritto all’ufficio di collocamento.
Dieci minuti per sapere tutto quello che serve su di me, le mie qualifiche, la mia forza lavoro, le mie competenze, i miei voti, i risultati conseguiti.
L’impiegato pigiava stancamente sulla tastiera. Nell’ufficio c’era un’aria stantia. Sembrava quasi che ci fosse odore di etere, che da tutto traspirasse la lunga attesa del nulla, sembrava di essere dentro le pagine de Il potere e la gloria di Graham Greene: avevo l’inquietante sensazione che da un momento all’altro tutto sarebbe crollato, sotto i miei piedi, compreso il cielo.
Mi sarei risvegliato tra pezzi di cielo appuntiti. Nudo e sanguinante avrei camminato tra le macerie di una vita rivelatasi un’illusione, bestemmiando contro un dio silenzioso e impotente, chiedendogli a gran voce il prezzo da pagare, tutto e subito, anziché a rate.
Scendi giù e fammi vedere il tuo volto umano. No, nessun riflesso nel volto delle creature, io voglio te, per l’ennesima volta sul banco della Storia, ma stavolta è la mia Storia.
Sei te che mi hai messo in questi guai e ne risponderai.
Tutta la mia rabbia pura.
Dove collocherai la mia anima, dimmi, solerte impiegato?
Dove collocherai i miei sogni, ora che tutto ha smesso di avere un senso?
Sono qualificato per vivere, ma al momento, mi dicono, non c’è vita da vivere.