Il 20 novembre è stata la Giornata mondiale sui diritti dell’Infanzia. E in radio la settimana precedente hanno mandato in continuazione in onda uno spot dell’Unicef che ho trovato raccapricciante. Ecco, ho pensato ascoltandolo. Ci risiamo: un’altra pubblicità apparentemente a tutela dell’infanzia, ma di fatto contro i bambini.
Provo a descrivervela. A turno si sentono una mamma e un papà rimproverare severamente il proprio figlio rinfacciandogli dei comportamenti negativi tipici peraltro di ogni bambino:
- Stai tutto il giorno davanti al computer!
- Ti alzi all’ultimo momento e non vieni nemmeno a fare colazione
- Sempre con quelle maledette cuffiette. Ma i compiti?
- Uscire con gli amici, uscire con gli amici!
- Che ti ho comprato a fare il telefonino se non mi rispondi mai?
Questa pubblicità, che voi ovviamente troverete deliziosa come lo spot di Enzo B (e quindi spero di sollevare lo stesso polverone!) non si capisce dove voglia andare a parare. Fino a che la madre protagonista non pronuncia l’illuminante e intelligente frase finale:
Tutti uguali ‘sti ragazzini!
E una voce fuori campo aggiunge: “Se i ragazzini sono tutti uguali, perché i loro diritti no?“
E voilà!
Eccovi serviti i bambini resi uguali gli uni agli altri nei loro aspetti negativi, nei loro comportamenti sbagliati.
Certamente l’intento degli ideatori di questa nuova campagna dell’Unicef è buono, anzi sacrosanto. E proprio come l’altra campagna di Enzo B., anche loro hanno voluto puntare su un gioco di parole; in particolare sul significato di uguaglianza. Ma il gioco di parole da solo non basta. Avrebbero invece dovuto riflettere sul fatto che in questo modo i ragazzi sono stati accomunati solo sotto gli aspetti più negativi. Una panoramica davvero triste quella che i pubblicitari dell’Unicef hanno fatto sui ragazzi di oggi: pigri, lavativi, menefreghisti, ignoranti.
Che sarà pure vero, almeno in parte, ma non credo che i nostri figli siano solo così. Il loro lato bello, che ogni bambino porta in sé, e che noi abbiamo la responsabilità di coltivare, non è stato preso in considerazione da questa campagna pubblicitaria. Peccato, perché invece è proprio questo il motivo per cui continuiamo a metterli al mondo.
I ragazzi che vanno a scuola, che praticano uno sport! Amati dai genitori nonostante le continue discussioni. Anzi, forse proprio grazie a queste. Quelli che imparano a suonare uno strumento, che vanno al cinema, al teatro, ai concerti, in discoteca (anche se poi tornano tardi a casa). I ragazzi che ascoltano musica, navigano in internet, leggono libri, si innamorano!
E invece dovrebbero essere proprio questi i modelli cui tendere, gli aspetti da evidenziare quando si cerca di abbattere le disuguaglianze tra i nostri ragazzi e quelli meno fortunati per i quali da anni l’Unicef si batte.
Ma non solo ascoltando la pubblicità in radio mi sono infastidita. Forse ancora di più leggendo sul sito i valori alla base della campagna “Tutti uguali davanti alla vita, tutti uguali di fronte alle leggi: Io come tu, mai nemici per la pelle”
L’incipit è la domanda, posta evidentemente in chiave spiritosa (perché non oso concepire quella letterale) “Tu di che razza sei?” Già questo mi fa partire un piccolo conato di indignazione: come appartenente alla razza umana, e anche come ebrea, non riesco a concepire un concetto come quello della razza, in nome del quale si sono compiute e tuttora si compiono stragi, stermini e pulizie etniche in tutto il pianeta. Senza contare che anche dal punto di vista della biologia il termine “razza” non può essere applicato a una specie geneticamente omogenea come quella umana, così come affermato dall’Unesco nel lontano 1950. Possiamo anche giocare con le parole. Ma è un gioco pericoloso: le parole sono pietre.
Inoltre non sento di condividere nemmeno il significato spiritoso di questa domanda, che parte dal presupposto che i bambini siano (cito) tutti un po’ citrulli, un po’ birbanti, un po’ canaglie. Che tutti i bambini e ragazzi sono uguali anche nel combinare “guai” e nel ricevere rimproveri.
Non solo non mi risulta. Ma trovo davvero riprovevole denigrare gli atteggiamenti negativi dei ragazzi invece di sottolineare e premiare i loro comportamenti positivi e costruttivi.