Ulisse: I tesori del museo egizio di Torino

Creato il 26 maggio 2013 da Ilsegnocheresta By Loretta Dalola

Un viaggio in un epoca lontanissima alla scoperta della civiltà egizia, senza muoversi dall’Italia ma, entrando con Ulisse e Alberto Angela nel museo egizio di Torino. In effetti il  Museo Egizio di Torino è dopo quello del Cairo, il più importante museo al mondo su questa civiltà e non solo: è stato il primo museo egizio della storia. Qui gli studiosi hanno potuto per la prima volta esaminare una collezione completa. Di conseguenza è davvero qui che è nata l’Egittologia.  Fondato nel 1824 dal re Carlo Felice con l’acquisizione di una collezione di 5628 reperti egizi riunita da Bernardino Drovetti. Nel 1894 la guida del Museo passa a Ernesto Schiaparelli che organizza scavi in numerosi siti egiziani, arricchendo il museo di altri 20.000 pezzi. Azione proseguita dal suo successore, Giulio Farina.

La presenza di un corpo di un uomo vissuto prima della civiltà egizia, rannicchiato, rinsecchito e trovato nel deserto ci introduce all’aspetto che colpisce di più della civiltà egizia è la conservazione dei corpi e le mummie. Quel corpo aveva subito una mummificazione naturale che ha influenzato molto sulla mentalità egizia.  Nei cimiteri dell’epoca predinastica, costituiti da fosse poco profonde dove i defunti venivano deposti in posizione fetale, il clima molto caldo e secco faceva essiccare naturalmente i corpi.
Quando i corpi cominciarono ad essere deposti in tombe con coperture artificiali, inizialmente venivano avvolti in bende di lino e ricoperti di gesso compresso e levigato perché prendesse la forma del corpo sottostante; quando il gesso era asciutto, il guscio esterno veniva dipinto (spesso di verde, colore della rinascita) e al viso erano dati i lineamenti del defunto. Durante il Medio regno la tecnica di mummificazione si affinò per raggiungere i suoi risultati migliori e definitivi nel Nuovo regno. Poiché il mondo era stato creato dalla forza vitale dell’universo, lo spirito eterno, doveva tornare, quando il suo percorso terreno giungeva al termine, all’ordine e all’armonia. Il vero significato mummie è legato, in effetti, alla vita. Un uomo infatti non moriva ma, si addormentava per passare poi nell’aldilà. La vita era solo un passaggio per accedere all’aldilà dove avrebbe continuato a vivere. Ecco il perché degli oggetti personali posti accanto al morto,  unitamente a beni terreni cari al defunto che risaliva alle credenze egiziane di una vita oltre la vita nella quale il defunto lavorava, si riuniva con gli dei, di cui era stato intermediario in vita, mangiava (vari sono stati i ritrovamenti di cibo nelle tombe); insomma gli egizi credevano in una “vera” e propria vita molto simile a quella terrena.

Passano i secoli e le tombe cominciano ad emergere dal terreno diventando sempre più imponenti ed i faraoni le vollero ancora più grandi, una vera sfida contro la morte. La prima piramide fu opera di uno degli ingegni più grandi dell’umanità, l’architetto, medico e astrologo Imhotep. Costruì a Sakkara la prima piramide quella a gradoni, tutta in pietra. Col tempo la tecnica si  raffinò, allargando la base, lisciando le pareti e utilizzando blocchi di granito che combaciavano pefettamente, fino alla  realizzazione del capolavoro assoluto: la piramide di Cheope. Una delle costruzioni più grandi mai realizzate dall’uomo. S’innalza verso il cielo da parecchie migliaia di anni nella piana di Giza. Un’immensa tomba realizzata senza strumenti in ferro e senza l’uso della ruota.  2.500.000 blocchi di pietra calcarea e granito. Il tutto per un peso di circa 6.000.000 di tonnellate e un’ area di 13.1 acri. Per accedere alla Camera del Re, si devono superare  percorsi stretti ed impraticabili, corridoi e gallerie piccolissime. La domanda che ci si pone è come hanno fatto i saccheggiatori di tombe a trafugare tutto, ma proprio tutto all’interno di una stanza situata a circa 45 m di altezza, e  il cui unico modo per raggiungerla dalla base è una galleria ascendente (bloccata da pesantissimi tappi in granito) che si collega alla Grande Galleria, lunga circa 46 m e con una pendenza di 26°.

Nel museo di Torino la  collezione di statue è impressionante e permette di entrare nella vita quotidiana degi egizi e del faraone. Come viveva un faraone?  In Egitto il faraone (il re) ha potere assoluto, è la congiunzione tra cielo e terra, è proprietario di tutto il regno e di tutto ciò  che il regno contiene. Il faraone è amato come un dio. Tutto  dipende dal faraone: la pace, la guerra, la vita, la morte, la fertilità della terra. Solo lui può fare le leggi, solo lui può far sorgere e tramontare il sole, far piovere e far maturare il grano: ha la funzione di creatore e di nutritore dell’Egitto.  È il capo carismatico, può avere molte mogli e concubine ma solo una poteva donargli l’erede.  La giornata di un re egizio era regolata nei minimi particolari. Tanto nella vita pubblica quanto in quella privata, essa era organizzata secondo un severo e rigido cerimoniale. Il suo tempo era diviso tra le udienze e  i giudizi, la caccia e la guerra, le passeggiate e i divertimenti. Il risveglio del re era una grande cerimonia. Il faraone si preoccupava del suo aspetto fisico, e si affidava alle mani esperte del barbiere e della manicure. Doveva indossare un grande vestito: il gonnellino shenti, corto e a pieghe, rientrava tra i suoi indumenti più abituali. Il faraone non appariva mai in pubblico con la testa scoperta; anche nell’intimità portava sempre un copricapo. Perciò indossava una parrucca e sopra di essa il nemes con il serpente ureo. Una barba posticcia si univa al copricapo. Il re portava collane, pettorali e bracciali, indossava sandali o camminava scalzo.

E in questo viaggio alla scoperta del mondo egizio, non poteva mancare lui. Il faraone dei faraoni, Ramses II. Fu un sovrano potente, un guerriero indomito, un padre affettuoso e un costruttore instancabile. Quando Ramses morì aveva raggiunto il suo scopo:per il popolo era una leggenda Con queste credenziali Ramses II che governò per sessantasette anni (dal 1279 al 1213 a.C.), non poteva non meritarsi la fama di cui gode ancora oggi. La sua vita familiare fu sopra le righe: due Grandi Spose Reali, la bellissima Nefertari e  Isisnofret, un numero imprecisato di spose minori e concubine e almeno cento figli.  Autore di una delle  più grandi opera egiziane:  il tempio rupestre di Abu Simbel, una vera meraviglia dell’antichità. Le quattro colossali statue, alte venti metri e interamente scolpite nella roccia, che raffigurano il faraone seduto all’ingresso, sono ormai diventate un’icona della civiltà egizia. Scavato per oltre sessanta metri dentro il ventre di un’altura di arenaria, il santuario era dedicato a tre grandi dei,  Amon, Ra e Ptha ma, in realtà era un’altra la divinità da venerarvi : Ramses stesso.

Il vero pericolo per la sorte del tempio al quale Ramses aveva delegato la testimonianza della sua potenza e della sua origine divina, arriverà molto più tardi, quando il complesso rischiò di sparire per sempre sepolto da una valanga d’acqua.  Nel 1960, infatti, il presidente egiziano Nasser aveva iniziato i lavori per la costruzione della grande diga di Assuan.  Questa prevedeva la creazione di un enorme lago artificiale, un progetto importante per il paese, ma che rischiava di cancellare per sempre alcune delle più straordinarie testimonianze dell’antica civiltà dei faraoni. Fra queste anche Abu Simbel, che nel frattempo era diventato famoso in tutto il mondo.
Fu l’Unesco a lanciare il grido d’allarme, che si trasformò in una vera e propria campagna di salvataggio che coinvolse ben 113 Paesi, pronti ad aiutare l’Egitto con uomini, denaro e tecnologia. Il progetto richiedeva che il tempio di Abu Simbel venisse smontato pezzo per pezzo e ricostruito 180 metri più nell’entroterra dopo aver innalzato il terreno di 65 metri rispetto al livello precedente.
I lavori richiesero cinque anni, oltre duemila uomini, tonnellate di materiali e uno sforzo tecnologico senza precedenti nella storia dell’archeologia. I blocchi numerati per ridar loro l’esatta posizione, furono riassemblati, e l’intero tempio fu ricostruito mantenendo persino l’originario orientamento rispetto agli astri e al nuovo corso del Nilo determinato dallo sbarramento di Assuan. Fu restaurato il paesaggio, e quando anche la montagna soprastante fu ricostruita, il puzzle fu finalmente completo. Ramses stesso non vi avrebbe trovato alcuna differenza. Ora la mummia del più grande faraone può riposare in pace nel museo di Torino, insieme a quella del padre Seti I.

Il complesso mondo funebre degli egizi  fu profanato più volte nonostante si rischiassero punizioni e la dannazione eterna. Scalpellini e artigiani depredarono le tombe per arricchire il mercato clandestino con oggetti preziosi. Quanto oro è scomparso nel corso dei secoli è impossibile da quantificare ma, se solo pensiamo al tesoro, ritrovato nella tomba di Tutankamon (5000 oggetti, collari, petorali, fibie, la maschera in oro e lapislazuli, 150 amuleti , bracciali, anelli) si può solo fare una stima approssimativa del patrimonio andato perduto per sempre.

E oggi gli archeologi moderni si muovono ancora sui siti per ritrovare altre testimonianze. Un paziente lavoro scientifico che tenta di ricostruire la millenaria storia egizia.  Poche civiltà hanno lasciato un’impronta così profonda e affascinante  come quella egizia e Ulisse ha voluto farci rivivere questo emozionante pezzo di storia umana. Una storia che continua, come il museo di Torino che continuerà ad offrire  un ricordo dedicato esclusivamente all’arte e alla cultura dell’Egitto antico.


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