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Un debito al 116% del Pil: è il “regalo” che le generazioni precedenti lasciano a quelle future in Italia, secondo gli ultimi dati Eurostat. Ci supera solo la Grecia, che ha le sue -pesanti- “gatte da pelare”. Ma non eravamo un Paese solido economicamente? Chi pagherà questo debito, che nel frattempo è già salito all’astronomica cifra (fonte: Bankitalia) di 1844,6 (!) miliardi di euro – nuovo record? Il tutto mentre il Pil -nel terzo trimestre, è cresciuto all’anemico tasso dello 0,2%, sotto la media europea…
Intanto i migliori continuano ad andarsene: ormai è un fenomeno che -dopo i giovani- rischia di contagiare anche le imprese. Abbiamo fatto scuola pure in Europa, a causa della crisi. Analoghi fenomeni -riportano le agenzie di stampa- cominciano a registrarsi anche in Francia e in Irlanda. Con la differenza, a mio modesto parere, che in quei Paesi siano le difficoltà economiche ad accentuare questa situazione di difficoltà. Mentre qui siamo di fronte soprattutto a situazioni strutturali. Peraltro già ampiamente denunciate su questo blog.
Le ultime notizie dal fronte:
-nuovi casi di “fuga dei talenti”, secondo quanto riportato dai giornali: dalla piccola Università dell’Insubria emigrano Daniele Faccio, 37enne ricercatore già citato dal magazine The Economist (destinazione: Scozia), l’altra ricercatrice Giovanna Tissoni, specialista in ottica-non-lineare, e l’associato Andrea Giuliani (destinazione: Francia). Certo, hanno sicuramente inciso i tagli alle università, come accusa Il Venerdì de La Repubblica, ma se il rettore evitasse di proporre lauree honoris causa a Renzo Bossi, piccolo monumento al familismo italiano… forse potrebbe evitare di stimolare ulteriori fughe. Non se ne vanno però solo i ricercatori: su un sito di informazione toscano ho trovato un articolo che racconta la storia di un giovane artista fiorentino (25 anni), emigrato a Bonn per affermarsi. Riccardo Prosperi, questo il suo nome, ha dichiarato nell’intervista: “La Germania ti aiuta, perché ti presenti da straniero, e sicuramente ciò dà molta più possibilità ai giovani di essere ascoltati, e almeno guardati con occhi diversi”. E se ne vanno pure i cuochi, come dimostra il recente articolo de Il Sole 24 Ore: “Sono tanti i cuochi che lasciano l’Italia”, afferma Sonia Re, responsabile marketing e comunicazione dell’associazione professinale di categoria. Anche qui, la Germania è uno dei mercati naturali di approdo. Due giovani chef italiani, non a caso, sono finiti nella top ten del critico gastronomico del Wall Street Journal, Bruce Paling.
-fuggono le imprese: secondo il settimanale “Affari e Finanza”, trecento aziende sono già emigrate in Svizzera, cento hanno preso la via dell’Austria e 600 sono già in Slovenia. E se ne vanno piano piano anche le multinazionali: dopo Glaxo e Rossignol, prepara le valigie anche l’americana Carrier. Mentre Alcoa ha già abbandonato parte delle attività. “Il problema non è tanto attirare le multinazionali, ma non far scappare le imprese italiane”, ha avvertito pochi giorni fa il vicepresidente di Confindustria Alberto Bombassei, che ha rilevato come nel Belpaese “multinazionali ce ne sono sempre di meno”. Fisco, costo dell’energia ed esenzioni fiscali tra i motivi citati da Bombassei, quali fattori critici per la permanenza o meno delle industrie sul suolo patrio.
-quand’anche riusciamo ad attrarre quella (poca) immigrazione qualificata, non sappiamo neppure cosa farcene. Lo denuncia l’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr, che ha condotto uno studio ad hoc sugli immigrati provenienti dall’est europeo. In Italia il flusso migratorio costituito dai laureati provenienti da questa area geografica è rilevante, afferma lo studio, ma la percentuale di coloro che svolgono professioni intellettuali è molto bassa. Un tipico caso di “brain waste”.
-non che sappiamo poi valorizzare neppure i nostri, di giovani laureati. Secondo il centro studi Datagiovani, citato da Il Sole 24 Ore, in ben otto regioni (Friuli Venezia Giulia, Liguria, Umbria, Marche, Lazio, Campania, Basilicata e Calabria) avere un diploma rappresenta un miglior scudo contro la disoccupazione, rispetto alla laurea. Il numero di regioni sale a dieci, se si prendono in considerazione solo gli uomini. E tra i diplomi, i licei perdono terreno, rispetto agli istituti professionali. Lo ripetiamo da mesi, su questo blog: se continuiamo a soffocare il giovane capitale umano qualificato, in un contesto di economia globale che premierà sempre di più le economie ad alto tasso innovativo, per noi semplicemente non ci sarà posto…
-infine, mi ha abbastanza impressionato leggere alcune notizie di stampa sul cosiddetto “collegato lavoro“, che entrerà in vigore il 24 novembre. Prima che ne parlasse la Cgil, era stato un mio amico, di professione avvocato del lavoro, a mettermi in guardia. La riduzione a 60 giorni del tempo massimo entro il quale un lavoratore può impugnare un licenziamento ritenuto illegittimo, e limiti analoghi per contestare le eventuali invalidità di un contratto temporaneo, rischiano di abbattersi come mannaie sui già risicati diritti dei precari. Che sono, come ben sappiamo, quasi tutti giovani. Per la Cgil, si tratta di una “tagliola” che lederà i diritti di 100-150mila persone. E la norma sarà applicata persino retroattivamente: a rischio sono soprattutto i precari delle piccole imprese. Il consiglio è quello di informarsi subito. La riflessione, che giriamo al Ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, è: ma con quale coraggio, dopo esservi riempiti per mesi la bocca di parole quali “giovani” e “merito”, esercitate questo ennesimo accanimento terapeutico contro le fasce più deboli e giovani della società? Con quale coraggio negate il futuro alle generazioni sulle quali si costruirà l’Italia del futuro? Con quale coraggio li incoraggiate -una volta di più- a fare le valigie ed