La notizia di apertura di tutti i telegiornali è dedicata ai festeggiamenti della Repubblica italiana dopo le polemiche che l’hanno preceduta. L’Italia celebra il 2 giugno, con il pensiero alle vittime del sisma e all’insegna della speranza che, uniti, usciremo dai guai.
La parata della discordia. La parata, senza i tradizionali sorvoli delle Frecce Tricolori, più per chi c’era ai Fori imperiali: il presidente Napolitano, i vertici militari e le alte cariche istituzionali. Una sfilata in forma sobria e ridotta in segno di lutto e rispetto per le zone terremotate in Emilia e che ha preso il via dopo il minuto di silenzio per le vittime del terremoto.
All’insegna dell’essenzialità, e in forma ridotta, durata meno di un’ora, chiusa dal passaggio di una simbolica rappresentanza di tutte le componenti, militari e civili, ad oggi impegnati in Emilia nelle operazioni di soccorso assistenza alle popolazioni colpite dal sisma. Annullati anche i mezzi militari, i cavalli, insomma, una parata dimezzata e priva del sindaco Alemanno che non la voleva, e che nei giorni precedenti si era detto contrario, chiedendo un ripensamento in segno di lutto, e di Berlusconi sostituito con La Russa, che non si è smentito: “ La sobrietà calcolata dalla presenza dei cavalli o delle frecce tricolore, mhà”. Non c’era il ministro della Cooperazione internazionale e dell’integrazione Andrea Riccardi, giustificato perché, in visita alle zone terremotate. Nessuna polemica, il ministro ha partecipato alle celebrazioni del 2 giugno a Modena, ricordando la sobrietà della festa e ha voluto sottolineare come la ricostruzione post terremoto in Emilia sarà “il simbolo della ripresa dell’Italia”.
Quattro milioni di euro lo scorso anno, un milione e mezzo questo. Sobrietà o meno, i festeggiamenti non sono stati presi bene dagli emiliani che vivono su una terra che non smette di tremare. “Non ci interessa, dicono, chiediamo che lo Stato non ci abbandoni”. “All’Aquila sono ancora terremotati, dopo 3 anni, la parata è per le alte sfere, noi non contiamo nulla e chissà quanto rimarremo ancora così”. Voci di popolo, provato dal recente dolore e voci di chi non ha futuro : ”L’Italia sta mangiando i nostri sogni. Ma noi non vogliamo andar via”. Questo il cartello esposto da una giovane, tra i tanti spettatori, che spiega: ”La mia non è una protesta contro una parata, ma una protesta contro l’Italia che non dà spazio ai giovani”. Giuseppina, di Napoli, da qualche mese è disoccupata e ha disegnato sul suo manifesto un cervello con le gambe e la valigia: ”Sono laureata e non ho lavoro, ho finito gli studi a marzo e avrò mandato trecento curriculum e domande, ma niente. Sono disoccupata. Mi ripetono ogni giorno di andar via dall’Italia ma io non voglio farlo, forse, però, sarò costretta”.
Un 2 giugno indelebilmente segnato dalla tragedia del terremoto, una festa a metà. Metà per l’Italia e metà per l’Emilia, in un messaggio univoco di coesione e forza, una festa che ha assunto nel tempo quei caratteri stabili di una tradizione che, nell’onorare la Repubblica attraverso i suoi uomini in uniforme, che ha sempre raccontato l’Italia che c’è, lo specchio fedele dei mutamenti che hanno interessato il nostro Paese in oltre mezzo secolo.
E allora, tra polemiche, speranze, sogni, amarezze e festeggiamenti: auguri Italia!