Un ’900 di letteratura fantastica

Creato il 28 marzo 2014 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

La scuola, gli usi comuni, anche gli scaffali in libreria, ci portano a pensare che la letteratura – quella canonica da manuale di studio – sia un tipo a sé di opere, separata da quella meno nobile che porta con sé un genere

L’horror, la fantascienza, il fantasy, tanto per restare nell’ambito di cui ci occupiamo quest’oggi. Ma non è solo l’accademia – o forse quella che viene percepita come accademia – a fare questa distinzione. Un noto scrittore, vincitore del Premio Strega, afferma questo:

La letteratura di evasione è sempre esistita, i soldati romani sul vallo di Adriano portavano da leggere le favole, non l’Eneide. Ma la letteratura di genere – che pur ha ragione di esistere – non è letteratura alta ma è una letteratura minore perchè non sposta le persone.

Si tratta di Antonio Pennacchi, che – vale la pena ricordarlo – lo scorso novembre è uscito con Bompiani con un romanzo di fantascienza, Storia di Karel.

Anche tralasciando l’evidente incoerenza nel pensiero dell’autore, si nota una certa eco di questo pensiero risuonare nella nostra cultura. Non c’è dubbio che in molti – troppi – pensino che un romanzo fantasy sia solo per bambini e ragazzi. Ma non è scopo di questo articolo convincere queste persone del contrario, né difendere la categoria dei romanzi fantasy, di fantascienza o dell’orrore.

Il punto che si vuole raggiungere è un altro. Il punto, che spesso è ignorato, riguarda proprio la letteratura che ho definito canonica. E cioè che in questa c’è un rigoglioso prolificare di letteratura fantastica.

Si badi: è noto a tutti che opere come l’Orlando Furioso – con altri capolavori della nostra letteratura – è di fatto un’opera di genere fantastico. E si potrebbe parlare di come le radici di questo genere affondino nella mitologia fino alla prima opera di cui si ha memoria, l’Epopea di Gilgamesh. Ne uscirebbe di sicuro un discorso interessante e ricco di spunti, ma ci troveremmo davanti a facili obiezioni: l’aspetto teologico della mitologia, la struttura poemica dell’Orlando, il corpus di lais orali che sin dal primo medioevo avevano dato vita a cicli narrativi come quello Carolingio a cui il nostro Ariosto si è ricollegato. Si potrebbe dire che sono tempi andati, e che la letteratura fantastica dell’epoca non corrisponde a quella odierna.

Parliamo allora della letteratura del ‘900, di fatto l’ultima canonizzata. E senza indugi e frontiere, potremmo cominciare questo brevissimo viaggio – lontano anni luce dalla completezza che nemmeno cerca – da Kafka. Intorno al 1912 conclude la stesura definitiva de La metamorfosi, probabilmente la sua opera più nota, che uscirà solo nel 1915. L’avventura oltre i limiti del possibile di Gregor Samsa rientra senza dubbio nel genere tanto bistrattato dal buon Pennacchi. Non viene mostrata una motivazione, la mutazione avviene e basta. Siamo quindi davanti a un racconto che rientra nei parametri del fantasy.

Senza allontanarci troppo, nel 1920 vede la luce un’altra raccolta di Kafka, Un medico condotto, che contiene al suo interno Relazione per un’accademia. Si tratta di un racconto in cui il protagonista narra della propria mutazione. Da scimmia diventa uomo tramite l’abitudine, tramite le consuetudini umane che inizialmente imita soltanto, e poi fa sue. Anche qui siamo nell’ambito del fantastico, dato che i tempi di Darwin non contemplano il vita natural durante. Siamo in realtà a cavallo fra fantascienza e fantasy, poiché si potrebbe intendere la trasformazione come mutazione genetica della singola scimmia. Ad ogni modo, ben lontani da quella letteratura non di genere che è definita alta.

Un breve salto temporale e uno più ampio nello spazio ci portano nella Russia del 1925 quando Michail Afanas’evic Bulgakov scrive Cuore di cane. È un’opera che di fatto è affine alla fantascienza, poiché – come anche Uova fatali, scritto l’anno prima – utilizza la figura di uno scienziato che tenta scoperte innovative nel suo ambito di interesse. Ed è così che Sarik, un cane di strada, può diventare Sarikov, un uomo.

Qualche anno prima, nel ’22, facendo un salto dall’altra parte del globo, troviamo un Fitzgerald eclettico con i suoi Racconti dell’età del Jazz. Fra le molte fantasie, come le chiama l’autore nella raccolta, possiamo senz’altro citare il celeberrimo Lo strano caso di Benjamin Button, nel quale un uomo, il Benjamin Button del titolo, nasce vecchio e vive ringiovanendo.

Potrei continuare ancora a lungo, ma ho scelto pochi autori che potessero essere rappresentativi di un fantastico letterario e accademico. Per chiudere questa breve rassegna, voglio fare un salto in avanti, così da illustrare anche un autore della seconda metà del secolo. E per farlo non bisogna cercare lontano. Basterà tornare in Italia, da cui il nostro autore prende il suo nome. Italo Calvino.

C’è solo l’imbarazzo della scelta. Potremmo parlare della cosiddetta trilogia de I nostri antenati (Il visconte dimezzato, Il barone rampante, Il cavaliere inesistente), che presenta situazioni dal fiabesco all’irreale. O potremmo passare allo spazio siderale con Le Cosmicomiche e Ti con zero, dove ci viene mostrata l’origine e l’evoluzione dell’universo attraverso entità personificate, creature millenarie. Dove ci vengono spiegati i paradossi della fisica tramite racconti fra il fantasy e la fantascienza.

Ma queste sono opere, come ci dice il buon Pennacchi, che non spostano le persone. O forse siamo stati troppo condizionati dal realismo, quello stesso realismo che in Balzac e Tolstoj ha visto eminenti vette nel riuscire a definire il tipo così come lo intendeva Lukacs: una rappresentazione totale dell’uomo immerso nella sua società. E in tal senso il pensiero comune si è forse allontanato dalle infinite possibilità del pensiero e della scrittura. Ma la letteratura fantastica sposta le persone. Le angoscia, le terrorizza, le fa sognare, le commuove. Se c’è una letteratura di serie B, questa non va cercata nelle suddivisioni di generi. Va cercata in senso orizzontale, valutando qualitativamente la singola opera e non la categoria di cui fa parte. In caso contrario ci si troverebbe davanti solo a un pregiudizio. E la letteratura, se può darci un insegnamento, è proprio quello di aprire la nostra mente e non soffermarci sulla limitatezza delle esperienze umane.

Maurizio Vicedomini



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