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Diamo un’altra chance all’agricoltura di collina e montagna
Monte Limina
Negli ultimi trent’anni, l’agricoltura italiana ha cambiato volto.
I numeri parlano chiaro: dal 1982 a oggi circa la metà delle imprese agricole hanno chiuso i battenti (- 48,2 % le unità censite) e la superficie totale gestita e accudita dagli agricoltori italiani è diminuita di oltre 5,3 milioni di ettari.
Questa evoluzione non ha un andamento omogeneo: ad esempio, la montagna nello stesso periodo ha perso quasi il 60% delle sue aziende agricole.
Da una recente ricognizione svolta dalla Commissione UE sull’agricoltura di montagna (2010), l’Italia occupa il secondo con 4,3 milioni di ettari classificati di montagna che rappresentano però oltre un terzo della Sau totale nazionale e il 16% delle aree montane Ue. Prima di noi c’è solo la Spagna.
Se da un lato è vero che, come dimostrano i dati censuari, le aziende di montagna rimaste tendono a ingrandirsi, il problema principale è rappresentato dai redditi agricoli, soprattutto se confrontati con il livello degli aiuti comunitari.
Misurato in termini di valore aggiunto per unità di lavoro, la media del reddito agricolo nelle aree montane dell’Unione Europea è di 13.777 Euro annui, inferiore del 28% al reddito medio delle aree non svantaggiate, pari a 18.878 Euro annui e in Italia questo divario è molto più accentuato.
Se andiamo a vedere il livello degli aiuti comunitari, mediamente, nelle aree di montagna l’aiuto è di 613 Euro annui per addetto, contro i 1.303 delle altre aree svantaggiate e i 1.540 Euro delle zone di pianura.
Certo, esistono le misure del cosiddetto II pilastro della Pac, ma i dati dicono che non bastano ad arginare l’abbandono delle aree rurali più fragili del nostro paese.
Alcune regioni come l’Emilia-Romagna hanno fatto sforzi notevoli per ripartire equamente almeno le risorse del PSR e tentare di ridurre tale divario di competitività, ma ciò non ha impedito né l’abbandono dell’agricoltura in montagna e collina, dove le superfici coltivate dal 2000 al 2010si sono ridotte rispettivamente del 20% e del 10%, né il forte calo – 31% in dieci anni – delle piccole e medie imprese, non è riuscito a diminuire la contrazione delle colture arboree e viticole e neppure il parallelo aumento delle coltivazioni estensive. Le naturali conseguenze di questi fattori sono state la diminuzione del presidio idrogeologico, dell’attività di cura dei suoli e del controllo dell’erosione e la dispersione di una qualità paesaggistica creata nei secoli precedenti.
Oggi il tema della crisi e della disoccupazione sono costantemente alla nostra attenzione, ma nessuno ha evidenziato che la contrazione del settore agricolo ha visto la perdita in un trentennio di oltre 350 milioni di giornate di lavoro l’anno: i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Si tratta di 1.250.000 posti di lavoro potenziali, di cui 273 mila dispersi nell’ultimo decennio e che potrebbero essere in gran parte recuperati con l’attivazione di un programma generale di manutenzione territoriale in cui le aziende agricole attuali sarebbero coinvolte direttamente o indirettamente, anche per tentare di invertire una rotta già delineata per il territorio nazionale, nel quale meno del 10% degli operatori agricoli ha oggi un’età inferiore ai 40 anni.
Quando si parla di agricoltura montana e collinare si parla di una realtà che, oltre a produrre alimenti, ha funzioni sociali e ambientali molto importanti, quali a esempio esempio la conservazione di un paesaggio rurale tradizionale, importantissima anche per le altre attività economiche di quel territorio, turismo in primis.
Risulta, inoltre, ancora largamente sottovalutato l’apporto che l’agricoltura appenninica e alpina fornisce alla prevenzione del rischio idrogeologico. La gestione delle superfici coltivate e non, dei pascoli, ma soprattutto delle aree boscate contribuisce in maniera significativa a rallentare il deflusso delle acque dopo abbonanti piogge. Per garantire queste funzioni laddove sono ancora vitali e ripristinarle dove l’abbandono è già una realtà consolidata sono necessarie delle misure politiche particolari, volte al governo territoriale nel suo complesso.
Le misure agroambientali si sono rivelate importanti nella gestione delle aziende agricole in montagna e contribuiscono tuttora a mantenere le funzioni non strettamente produttive, quali il mantenimento del paesaggio agrario e la tutela della biodiversità, ma non sono sufficienti per finanziare un programma di prevenzione del rischio idrogeologico che coinvolga anche la ripresa in carico degli ambiti ancora rurali ma non più agricoli.
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