L'assedio di Neapolis durò più di un anno.
Fu certamente il primo assedio dei Romani a durare tanto tempo, e le ragioni possono essere innumerevoli, non ultima l'importanza strategica che il Senato dell'Urbe aveva dato alla polis greca nei propri disegni di espansione.
Ma stare qui a ragionare su tali questioni senza una conoscenza della contingenza è esercizio sterile. Se davvero vogliamo avere un'idea di quali potessero essere le ragioni romane e le difficoltà affrontate pur di raggiungere l'obiettivo prefisso, dobbiamo ascoltare una fonte dell'epoca.
La fonte in questione è, ancora una volta, Tito Livio, VIII, 23. È un passo estremamente interessante, perché traccia come pochi la complessità della situazione politica dell'epoca. Dunque, vediamo:
Entrambi i consoli informarono il senato che c'era scarsa speranza di pace con i Sanniti: Publilio informò che duemila soldati da Nola e quattromila Sanniti erano stati ricevuti a Palaepolis, -più per l'insistenza dei Nolani che per volontà dei Greci; Cornelio (informò) che i magistrati Sanniti avevano indetto una leva, e che tutto il Samnium era in tumulto, mentre le città confinanti di Privernum, Fundi, e Formiae erano apertamente invitate ad unirsi (alla leva).
Per queste ragioni, il senato avendo votato di inviare ambasciatori ai Sanniti prima di dichiarare la guerra, ricevette da essi una risposta sprezzante.
Inoltre essi accusarono i Romani di condotta inappropriata, pur senza trascurare di di scaricare -se potevano- le accuse mossegli:
i Greci, dissero, non ricevevano alcun suggerimento o supporto pubblico da loro, né essi avevano chiesto a Fundani e Formiani di rivoltarsi; naturalmente essi erano abbastanza forti da badare a sé stessi, se avessero scelto di combattere;
inoltre, essi non potevano dissimulare l'irritazione della nazione Sannita per Fregellae, che essi avevano catturato dai Volsci e distrutta, che era stata rifondata dal Popolo Romano, ed una colonia era stata stabilita nel territorio dei Sanniti che i coloni Romani chiamavano con quel nome;
questo era un insulto e un'ingiuria che, se i suoi autori non avessero ritirato, essi proposero di opporvisi con forza.
Quando il legato Romano li invitò a discutere la questione con gli alleati ed amici comuni, il relatore Sannita disse: "Perché andiamo a tentoni? Le nostre differenze, Romani, saranno appianate non dalle parole di inviati né dall'arbitrato di alcun uomo, ma dalla pianura Campana dove dobbiamo scontrarci in battaglia, dalla spada, e dalla comune sorte in guerra.
"Accampiamoci dunque faccia a faccia tra Suessula e Capua, e stabiliamo la questione se siano i Sanniti o i Romani che debbano governare l'Italia."
I legati romani risposero che essi sarebbero andati non dove li chiamava il nemico, ma dove li avrebbero condotti i loro generali [...]
Prendendo una posizione favorevole tra Palaepolis e Neapolis, Publilio aveva già privato il nemico di quel mutuo scambio di assistenza che essi avevano sfruttato, mentre un punto dopo l'altro era duramente posto sotto pressione.
Conseguentemente, dal momento che si approssimava il tempo per le elezioni, e che non era vantaggioso per la Repubblica che Publilio, che minacciava le mura nemiche, venisse allontanato dalla prossima cattura della loro città che poteva accadere in qualunque momento, il Senato convinse i tribuni a presentare una proposta popolare, facendo in modo che Quinto Publilio Philo avrebbe dovuto, al termine del suo consolato, condurre la campagna in qualità di proconsole fino a quando i Greci fossero stati conquistati.
A Lucio Cornelio, che era già entrato nel Sannio e che essi erano ugualmente restii a ritirare dal vigoroso proseguimento della guerra, inviarono una lettera istruendolo di nominare un dittatore che conducesse le elezioni.
Egli nominò Marco Claudio Marcello, che nominò Spurio Postumiomagister equitum. Ma i comizi non furono tenuti dal dittatore, ed anche la regolarità della sua elezione fu questionata. Vennero consultati gli auguri, che annunciarono che la procedura sembrava viziata.
I tribuni resero questa sentenza sospetta ed infame con le loro accuse; perché il vizio, indicarono, non avrebbe potuto essere scoperto facilmente, dal momento che il console si era alzato nella notte ed aveva scelto il dittatore in silenzio, né il console aveva scritto ad alcuno a proposito della faccenda, sia ufficialmente che privatamente, né c'era un solo mortale vivente che potesse dire di aver visto o udito alcuna cosa che invalidasse gli auspici;
né ancora gli auguri avevano divinato, giacché risiedevano in Roma, quale ostacolo avesse incontrato il console nell'accampamento. C'era alcuno, avrebbero voluto sapere, che non poteva vedere che l'origine plebea del dittatore era la cosa che era parsa irregolare agli auguri? Queste ed altre obiezioni furono mosse dai tribuni senza motivo; lo stato finalmente si convertì in un interregno, e dopo che i comizi furono posposti ancora ed ancora, con un pretesto o un altro, finalmente l'ultimo interré, Lucio Emilio, procurò l'elezione dei consoli, Gaio Petelio e Lucio Papirio Mugillano - in altri annali trovo il nome di Cursore.
Allora, cosa ve ne pare? Mentre Neapolis era presa d'assedio, la vita politica a Roma viveva momenti convulsi: non si erano acquietate le lotte tra patrizi e plebei, e ben quattordici interré vengono scelti fino all'elezione dei nuovi consoli. Come se non bastasse, anche i Sanniti decidono di alzare la voce (in realtà, più per reagire all'invadenza Romana, pare di capire).
Sono rimasti solo un paio di frammenti, per avere il quadro completo della storia. Una volta letti, procederemo ad un'analisi comparativa degli stessi, vedremo le stranezze che ho trovato, e cercheremo di far conciliare le fonti se possibile, per giungere ad una possibile ricostruzione dei fatti.
Nel frattempo, vi do appuntamento al prossimo post.