Un anno di Jobs Act

Creato il 21 dicembre 2015 da Propostalavoro @propostalavoro

Ci avviciniamo, ormai, alle feste natalizie ed alla fine di un anno che, lavorativamente parlando, è stato piuttosto tribolato: nuovi record di disoccupazione; nuove regole del mercato del lavoro; nuove forme di precariato con cui fare i conti; nuovi, timidi passi verso una ripresa ancora troppo fragile, perchè si possa dire "siamo fuori dalla crisi".

Ovviamente, la novità dell'anno non può che essere il Jobs Act, ennesimo tentativo della politica di mettere mano ad un mercato del lavoro sempre più instabile, depresso e barcollante. Come è andata? Bhè, i risultati ed eventuali opinioni, ad oggi, sono ancora troppo contraddittori, ma, in generale, il giudizio è tendente al negativo.

Partiamo dai dati sull'occupazione: secondo l'Istat, per la prima volta, da tre anni a questa parte, abbiamo assistito ad un calo del tasso di disoccupazione, sceso all'11,5%. "Evvai, visto che la riforma funziona alla grande?" è stato il trend generale di tutti i membri della maggioranza di Governo. In realtà, non è proprio così, anzi.

Secondo il primo vero e proprio studio sulla riforma, realizzato da un team di ricercatori italiani, per conto di Isi Growth, progetto di ricerca finanziato dalla Commisione Europea, il Jobs Act sta fallendo su tutti i fronti, in particolar modo nella lotta al precariato e nello sviluppo dell'occupazione.

Secondo la ricerca, infatti, il calo della disoccupazione è viziato da un errore di fondo: il dato sarebbe positivo se i disoccupati diventassero occupati, ma in realtà non sta accadendo questo. I disoccupati, infatti, si stanno progressivamente trasformando in inattivi, cioè in coloro che, ormai scoraggiati da una ricerca di lavoro sempre più difficile e snervante, non cercano più un'occupazione.

Non è, quindi, un caso se gli inattivi sono passati, nel corso di quest'anno, al 36,2% del totale della forza lavoro: oltre 14 milioni di italiani in età lavorativa, stanchi e sfiduciati, si arrendono, finendo, il più delle volte, preda del lavoro nero, visto come l'ultima spiaggia. Dal canto loro, durante il 2015, gli occupati sono rimasti sostanzialmente stabili (circa 22,4 milioni).

Perfino il tanto decantato aumento dei contratti a tempo indeterminato ha il trucco: grazie ai generosi incentivi, sotto forma di sgravi fiscali, il grosso dei nuovi contratti si sono risolti in semplici trasformazioni (da determinato ad indeterminato), motivo per cui il fenomeno non ha portato alcuna significativa variazione all'occupazione.

Ci sarebbe, comunque, da festeggiare, dato che molti contratti da precari sono passati a stabili, ma, in realtà, neanche questo dato sarebbe molto corretto. Primo, perchè i contratti a termine non solo non sono spariti, ma anzi sono cresciuti in maniera esponenziale, tanto che il 63% dei nuovi occupati, nei primi 9 mesi del 2015, sono tutti a tempo determinato. A titolo d'esempio, citiamo la crescita esplosiva dei voucher lavorativi.

Secondo, perchè il contratto a tutele crescenti, di stabile ha soltanto il nome. Con la nuova normativa, infatti, basta anche solo una lieve flessione del fatturato, affinchè l'azienda possa licenziare i dipendenti assunti con il Jobs Act, senza alcuna possibilità, per i lavoratori, di poter essere reintegrati, nel caso ritengano ingiusto il licenziamento.

Certo, è previsto il risarcimento economico, ma l'entità non è certo tale (due mesi di stipendio, per ogni anno di lavoro, fino ad un massimo di 24 mensilità) da far dormire sonni tranquilli al neo disoccupato, soprattutto se le spese, cui far fronte, sono tante (mutuo/affitto, figli, bollette, ecc.).

A ciò, infine, si aggiunge anche la totale assenza, nel Jobs Act, di una precisa politica salariale, che miri a premiare impegno e competenze. Invece, i salari italiani sono tra i più bassi e tartassati d'Europa ed ancora di più lo sono quelli dei neo assunti con le tutele crescenti, il cui stipendio è dell'1,4% più basso, rispetto ai colleghi assunti con il vecchio indeterminato. Negli ultimi tempi si è accennato ad un'eventuale riforma dei salari, ma le proteste sono state tante e non del tutto immotivate, per cui si è rimasti solo al livello di chiacchiere.

Insomma, sembra proprio che di motivi per gioire della nuova riforma del lavoro non ce ne siano proprio, ma questo accade, soprattutto, per le nostre carenze strutturali: non si può introdurre un sistema altamente flessibile, come il Jobs Act, in una realtà statica come quella lavorativa italiana. Dove sono gli investimenti e i progetti per le nuove tecnologie? Quando ci sarà una vera riforma industriale ed energetica? Ed uno snellimento della burocrazia? Si realizzeranno mai, delle politiche attive per la promozione della meritocrazia e per scongiurare la fuga dei cervelli?

Sono anni che poniamo le stesse domande ed ancora nessuno ha dato una risposta.

Danilo