Sarà per il 70° anniversario del 25 aprile, o della morte di Mussolini, sarà per il decisionismo del premier, ma, nonostante che gli eredi della RSI e dell’MSI siano ormai ridotti al lumicino, l'Italia pare popolata da milioni di camicie nere. Ha ragione Ignazio La Russa, quando ha sbottato, di recente: “Non si erano mai visti tanti fascisti in quest’aula parlamentare”. “Magari Renzi fosse fascista, lo voterei per vent'anni”, ha poi aggiunto.
“Fascista” è ormai un insulto logoro, trito e ritrito, fritto e rifritto, in olio scaduto e scadente, come se i nostri sinistri sinistroidi non avessero null'altro cui attingere, dagli ultimi cent’anni di storia. Ho iniziato a sentirmelo nelle orecchie, urlato dagli eroi democratici del '68, rigorosamente in eskimo e sciarpina rossa, capeggiati da Curcio e Capanna, su a Milano, prima alla Cattolica, poi alla Statale. Allora come ora, chi non si allinea al Verbo, alla Via ed alla Verità marxista-leninista modello 2.0 de noantri, viene etichettato come “fascista”. Ora, persino nel nostro augusto Parlamento, non più per le strade e le piazze italiche, rifiorisce e rivive un rigurgito di questa moda, rievocativa e negromantica, di fantasmi del Bieco Ventennio.
Franco Bifani