Al primo piano del palazzo che ospita gli edifici in cui lavoro c’è un grande buco nero nel soffitto. Mesi fa c’è stato un principio d’incendio, in quel punto c’erano tre distributori automatici di snack, caffè e bottiglie d’acqua minerale. Ora, al loro posto, c’è un’enorme striscia nera, una superficie granulosa coi segni lucidi della combustione. È quasi bello a vedersi, sembra un’opera d’arte informale. Giorni fa sono stato a fissare la parete annerita e il buco nel soffitto, dal buco fuoriescono ammassi di tubi corrugati, dietro i tubi, nelle intercapedini, c’è un universo insondabile e vuoto. Mentre ero fermo a contemplare quelle rovine sono passati due impiegati, mi hanno guardato con una certa severità. Devono aver pensato a cosa ci fosse di tanto interessante in quello squarcio nel soffitto. Se le persone non capiscono il perché delle cose tendono a rimproverare, anche solo con lo sguardo, il tuo interesse per quelle cose. Ciò a cui quegli impiegati non fanno mai caso è il modo in cui li osservo io, ogni giorno, quando nelle pause dal lavoro si dispongono di fronte ai distributori ancora funzionanti del secondo piano. Non fanno mai caso che sono interessato alle loro risa sguaiate, alla maniera in cui atteggiano le loro bocche, allo stesso modo con cui mi interesso di un buco carbonizzato nel soffitto.
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