dal nostro inviato
Gaetano ValliniBastava guardarli Francesco e Bartolomeo in questi giorni a Istanbul: abbracci, sorrisi, strette di mano, tutto al di là di ogni formalità protocollare o rituale. Come la benedizione chiesta dal Papa al fratello in Cristo chinando il capo dinanzi a lui. Gesti semplici, spontanei e allo stesso tempo forti. Se l’esito del dialogo ecumenico dipendesse solo dai loro rapporti interpersonali probabilmente le divisioni sarebbero meno problematiche e il traguardo della piena unità molto più vicino. Ciononostante è indubbio che la stima, l’amicizia e anche la confidenza tra il vescovo di Roma e il Patriarca di Costantinopoli costituiscono un importante propulsore per proseguire nel cammino finora compiuto e affrontare con determinazione le questioni che ancora dividono le due Chiese. Per questo gli incontri al Fanar assumono un significato particolare, perché non si trattava solo di fare discorsi — che pure sono stati importanti e ricchi di significative novità — ma soprattutto di pregare insieme. E la stessa benedizione ecumenica impartita dal balcone del palazzo del patriarcato domenica mattina, al termine della divina liturgia nella chiesa di San Giorgio nella festa patronale di Sant’Andrea, come pure la successiva firma della Dichiarazione congiunta, acquistano un valore che va al di là dei gesti. Per tutto ciò, così come per i precedenti incontri con la comunità musulmana turca, forse non è una forzatura definire anche questo viaggio di Papa Francesco in Turchia un avvenimento storico. La prima visita del Pontefice al Fanar si è svolta sabato pomeriggio: in programma la preghiera ecumenica e un incontro privato con Bartolomeo. Questi ha accolto Francesco nel cortile, mentre le campane suonavano a distesa. Insieme, prima di entrare, hanno acceso una candela votiva nell’atrio del tempio. Durante il rito — con alcuni passaggi scritti appositamente per l’occasione — nelle invocazioni si è pregato per il Vescovo di Roma e per il Patriarca ecumenico, affinché «i loro passi siano indirizzati in opere di bene». E si è pregato per l’unità dei cristiani. Nel suo discorso, in greco, il Patriarca ha rivolto un benvenuto fraterno al Papa, che ha risposto, in italiano, con altrettanto calore, chiedendo alla fine di essere benedetto. Una richiesta non solo simbolica ma reale, perché subito dopo, con in mano ancora i fogli con il suo intervento, Francesco si è avvicinato a Bartolomeo, lo ha abbracciato e si è chinato per ricevere la sua benedizione. Il Patriarca gli ha posto una mano sul capo e glielo ha baciato. Gesti inattesi, che valgono più di mille parole. Quindi, dopo aver recitato insieme il “Pater noster”, hanno impartito la benedizione, rispettivamente in latino e in greco.Al termine della preghiera, Bartolomeo ha accompagnato Francesco nella Sala del Trono per l’incontro privato, al termine del quale c’è stata la presentazione delle delegazioni e si è svolto lo scambio dei doni. Quello del Papa al Patriarca è una riproduzione del Cristo raffigurato nella nicchia della Confessione di San Pietro, realizzato dallo Studio del Mosaico Vaticano. Si tratta del Cristo benedicente e docente, mentre porge il libro del Vangelo aperto alle parole: “Ego sum via veritas et vita qui credit in me vivet”. Ai membri del santo sinodo del patriarcato ecumenico, riunitosi in questi giorni, ha invece donato la riproduzione in facsimile di due fogli appartenenti al manoscritto Barberiniano greco 372 della Biblioteca Apostolica Vaticana, databile al 1060, contenente il salterio e altri testi liturgici. Bartolomeo ha ricambiato donando a Francesco un’icona di san Giorgio realizzata con uno stile di doratura speciale da un artista del Monte Athos. Successivamente il Pontefice ha firmato il libro d’oro, lasciando una frase in ricordo di questa visita: “Proseguendo nel cammino dei miei Venerati Predecessori, anch’io in questo solenne giorno liturgico sono pellegrino alla sede dell’Apostolo Andrea per chiedere al Signore, insieme al caro Fratello, Patriarca Ecumenico Bartolomeo i, il tanto desiderato dono dell’unità della Chiesa di Cristo, la concordia tra tutti i cristiani e la pace delle Nazioni”. Il Patriarca l’ha letta ad alta voce e, rivolto al Papa, ha detto: «Molte grazie. Domani vi aspettiamo per pregare insieme».(©L'Osservatore Romano – 1-2 dicembre 2014)
Un incontro tanto desideratodal nostro inviatoGaetano ValliniSi conclude con un incontro molto atteso da Papa Francesco — quello con un centinaio di ragazzi rifugiati, cristiani e musulmani, in maggioranza provenienti dall’Iraq e dalla Siria nonché da alcuni Paesi africani — l’intenso viaggio in Turchia. Tre giorni, da venerdì a domenica, con visite, incontri e momenti di preghiera serviti soprattutto per proseguire nel dialogo ecumenico con il Patriarcato di Costantinopoli, senza dimenticare quello interreligioso con i musulmani. Ma anche tenendo ben presente la situazione del Medio oriente. E proprio l’assistenza e l’accoglienza ai rifugiati nei conflitti che sconvolgono la regione è stato uno dei temi ricorrenti del viaggio. Ne aveva già parlato all’arrivo, nel discorso alle autorità tenuto al palazzo presidenziale, lo aveva ripetuto in alcuni altri momenti della visita, lo ribadisce poi sull’aereo che lo riporta a Roma, rispondendo ai giornalisti, ai quali spiega che avrebbe voluto persino recarsi in un campo profughi; ma sarebbe stato troppo complicato: ci sarebbe voluto un giorno in più. I ragazzi radunatisi domenica pomeriggio nella cattedrale dello Spirito Santo — l’incontro avrebbe dovuto svolgersi nel giardino della rappresentanza pontificia ma la pioggia ne ha suggerito lo spostamento — sono solo una parte dei seicento giovani assistiti dal centro e dalle scuole che fanno capo all’oratorio salesiano. Il Papa, seduto davanti all’altare, riceve prima il saluto rivoltogli in spagnolo da don Andrés Calleja Ruiz, che lo ringrazia per l’incontro e ci tiene a esprimere gratitudine a quanti sostengono la comunità salesiana in questo impegno di assistenza. Quindi ascolta con grande attenzione la toccante testimonianza, in inglese, di una ragazza irachena, non più di quindici anni, che gli parla con grande emozione della drammatica situazione di chi non ha più nulla, soffermandosi soprattutto sulle condizioni dei giovani cristiani cacciati dall’Iraq.Il Pontefice appare colpito. «Ho molto desiderato questo incontro con voi», confida il Papa ai ragazzi, e subito aggiunge a braccio: «Avrei voluto incontrare anche altri rifugiati, ma non è stato possibile fare altrimenti». Poi li invita a non scoraggiarsi e a sperare in un futuro migliore, nonostante le difficoltà e gli ostacoli. Quindi si ferma con loro, li saluta, scambia alcune battute, si presta per qualche foto ricordo. Solo mezz’ora di tempo, ma sufficiente per ribadire l’attenzione per la situazione drammatica dei profughi Terminato l’incontro, sulla strada verso l’aeroporto Papa Francesco compie un gesto fuori programma, recandosi nell’ospedale dov’è ricoverato il patriarca armeno ortodosso Mesrob ii, al quale aveva rivolto un pensiero e una preghiera durante la messa di sabato pomeriggio nella cattedrale cattolica. Una visita breve, un gesto di grande affetto.La cerimonia di congedo, molto semplice, si svolge allo scalo internazionale Atatürk, dove ad attenderlo c’è il Patriarca Bartolomeo: ancora un breve colloquio e poi l’ultimo, caloroso abbraccio. A salutare il Pontefice ci sono anche il governatore della regione, il comandante militare e il sindaco di Istanbul. L’aereo papale decolla poco dopo le 17 ora locale e atterra all’aeroporto di Ciampino intorno alle 18.30. Durante il volo il Pontefice saluta uno a uno i giornalisti che lo hanno seguito nel viaggio in Turchia. Subito dopo risponde a dieci domande, che gli permettono di ripercorrere i vari momenti della visita, e di puntualizzarne contenuti e momenti salienti. E gli offrono anche l’occasione per ringraziare ancora una volta il Governo turco per quel che fa per l’accoglienza dei profughi dei conflitti nella regione.(©L'Osservatore Romano – 1-2 dicembre 2014)