Mi spiace per Ilaria Cucchi, ma se proprio si deve cercare un termine di paragone per il fatto di Napoli, non lo si può di certo trovare nella vicenda del fratello o in quelle di Aldrovandi, Uva e Magherini. In queste situazioni, gli abusi delle forze dell’ordine non sono avvenuti in una condizione di oggettivo pericolo per l’incolumità degli agenti o di eventuali passanti, ma in normali fermi di persone sole e disarmate. Piuttosto, il dramma di Napoli può essere paragonato alla morte di Carlo Giuliani, nel G8 genovese del 2001. In entrambi i casi, si è trattato di situazioni maturate in una logica di scontro. Ma le differenze sono ugualmente sostanziali: nel caso di Giuliani, innanzitutto, lo scontro avvenne su un terreno politico e ideologico, mentre a Napoli è stato su uno di pura legalità; inoltre, e questa è una differenza netta, il povero Carlo Giuliani, pur accettando una logica di scontro, non ne fu di certo il principale artefice, contrariamente ai tre ragazzi napoletani che hanno creato, con la loro condotta illegale, una situazione di rischio per gli agenti e per gli eventuali passanti.
Tutto ciò, naturalmente, non assolve il carabiniere responsabile dello sparo. Gli accertamenti diranno se il colpo è partito volontariamente o accidentalmente e se l’arma carica in pugno è stata o meno una decisione giustificabile dalla situazione di criticità creatasi. Ma strumentalizzare quanto è accaduto, omologandolo a fatti che poco hanno in comune con quanto successo a Napoli, in chiave di una protesta contro veri o presunti abusi delle forze dell’ordine, può avere come unico risultato la delegittimazione della sicurezza pubblica e la generalizzazione di un problema che senza dubbio non dovrebbe verificarsi in uno stato di diritto, ma che comunque rimane circoscritto e proprio per questo, per essere meglio combattuto, necessita d’essere esaminato nella fattispecie, ogni qual volta fosse accaduto o dovesse malauguratamente accadere di nuovo.