Malinconico e divertente il film della Tedeschi procede per accumulazione successive grazie ad un montaggio che privilegia accostamenti di tipo emotivo, come quello che introducendo il personaggio di Louise ne circoscrive stato d'animo e provenienza culturale unendo senza soluzione di continuità la sua corsa frenetica e spaesata in un bosco della Francia, il paese d'adozione, alla camminnata affaticata ma felice che la porta in Italia, la terra natia, per abbracciare il fratello. Un'invenzione che consente al film di trovare la propria cifra stilistica ed insieme poetica nell'andamento rapsodico del racconto, nel suo essere contemporaneamente il risultato di esperienze vissute che però si completano accettando la componente ideale che appartiene alle aspirazioni di ogni essere umano e che la regista mette sullo stesso piano degli avvenimenti realmente accaduti. E se qualche volta il puzzle della Tedeschi non riesce ad andare oltre l'aneddotto - ci riferiamo per esempio alle comparsate dell'amico d'infazia che perseguita la famiglia rimproverandogli di averlo abbandonato, oppure al legame nascosto con il padre di Nathan, un regista con la quale Louise aveva lavorato- "Un castello in Italia" riesce a non perdere nulla in termini di delicattezza e d'empatia. Insomma un lavoro ben fatto giustamente premiato con la selezione nel concorso ufficiale dell'ultimo festival di Cannes. Un riconoscimento che per la Tedeschi vale come un premio, o forse di più.
Malinconico e divertente il film della Tedeschi procede per accumulazione successive grazie ad un montaggio che privilegia accostamenti di tipo emotivo, come quello che introducendo il personaggio di Louise ne circoscrive stato d'animo e provenienza culturale unendo senza soluzione di continuità la sua corsa frenetica e spaesata in un bosco della Francia, il paese d'adozione, alla camminnata affaticata ma felice che la porta in Italia, la terra natia, per abbracciare il fratello. Un'invenzione che consente al film di trovare la propria cifra stilistica ed insieme poetica nell'andamento rapsodico del racconto, nel suo essere contemporaneamente il risultato di esperienze vissute che però si completano accettando la componente ideale che appartiene alle aspirazioni di ogni essere umano e che la regista mette sullo stesso piano degli avvenimenti realmente accaduti. E se qualche volta il puzzle della Tedeschi non riesce ad andare oltre l'aneddotto - ci riferiamo per esempio alle comparsate dell'amico d'infazia che perseguita la famiglia rimproverandogli di averlo abbandonato, oppure al legame nascosto con il padre di Nathan, un regista con la quale Louise aveva lavorato- "Un castello in Italia" riesce a non perdere nulla in termini di delicattezza e d'empatia. Insomma un lavoro ben fatto giustamente premiato con la selezione nel concorso ufficiale dell'ultimo festival di Cannes. Un riconoscimento che per la Tedeschi vale come un premio, o forse di più.
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