Crescevamo tra donne. Gli uomini lavoravano e, nell'Italia del boom, non c'era tempo (non c'era modo?) per stare coi figli.
Ascoltavamo le donne. Anche noi maschietti eravamo spesso catapultati in storie inverosimili di amori traditi, fatiche casalinghe, malanni ancestrali che non avevano un nome ma solo dei segni. Sembravano un miracolo, però al contrario.
Qualche volta restavamo schiacciati da tante parole, in quei pomeriggi uggiosi d'estate, quando il sole era ancora troppo alto per uscire per strada, e bisognava restare in casa. Riposare un po'. A nove anni riposare significava almeno stare ad ascoltare. Il tempo passava più veloce, lo spazio si riempiva di vecchie parenti lasciate in campagna, di lavori d'un tempo, della difficoltà di essere state strappate alle proprie origini. Si stava in città, anche se era soltanto un paesone.
Nella testa, mi frullano ancora parole e storie, situazioni di donne. Racconti.
Stasera, ad un compleanno, un babbo parlava di un altro bambino e diceva: "ah, ha un carattere bello, espansivo. Parla tantissimo, come una donna".
Ecco: un complimento così l'avrei voluto per me. Un piccolo uomo che parla (e quindi magari parlerà anche da adulto), che sa esprimere il suo mondo, che non resta mutanghero e attorcigliato intorno a pensieri che non sa decifrare.
Un ragazzino che racconta.
Fantastico un uomo che parla come una donna.