“Così il Pd implode” avvertono gli Occupy, ma ripensando a questi ultimi anni si può serenamente dire che proprio l’idea del Pd, nasceva dall’implosione delle culture che avrebbero dovuto rimescolarsi. E forse per capirlo più che all’assemblea balcanizzata del partito bisogna guardare a Bologna, al referendum sulla scuola pubblica del 26 maggio: lì c’è l’elettorato del Pd che si batte perché le risorse della scuola pubblica non vengano aggredite e disperse per dare lauti aiuti alle scuole private che sono poi quelle degli asini divenuti “clienti” o quelle confessionali. Così come Costituzione vorrebbe. Ma il vertice del partito in santa alleanza con i vescovi e la destra baciapile si è mobilitato contro i referendari, come se fossero loro il nemico. E’ lì che si può vedere chiaramente la faglia che attraversa il partito e che passa tra la base e i dirigenti, non più tra le due cosiddette anime, unite ormai dalla accanita volontà di conservare lo statu quo ante e con esso anche se stessi.
Altro che implosione, qui siamo già alla marcita, senza che tuttavia vi sia il sentore che le truppe di rincalzo, i “giovani” e meno giovani che si profilano all’orizzonte, siano portatori di idee diverse: al massimo le novità riguardano l’organizzazione o i linguaggi, ma non la sostanza, dimenticando che la struttura si costruisce sulle idee, i programmi, gli orizzonti e non viceversa. Perciò tutto questo sa ormai di accanimento terapeutico: solo una separazione può ridare energia e senso alla socialdemocrazia che si era ridotta al solo anti berlusconismo di facciata e che alla fine ha dovuto abbandonare anche quello, facendosi di fatto alleato del blocco storico nato proprio col craxismo e con la tecnica del debito pubblico gonfiato a dismisura non per investimenti pubblici e produttivo, ma per consumi e rendite. Dunque anche in questo senso le scelte del Pd hanno un senso, un terribile senso
La sinistra di governo, quando ha avuto occasione di governare si è tirata indietro perché sostanzialmente era solo sinistra di potere, non dissimile dall’avversario con il quale ha convissuto in una sorta di simbiosi avversativa, di divergenze parallele come le avrebbe chiamate Moro nel quadro di compromessi non storici, ma quotidiani.