Un dilettante di nome King

Creato il 21 aprile 2015 da Mcnab75

Stephen King: l’autore – non solo di genere – più citato e osannato dai lettori di mezzo mondo.
Fra qualche anno, ne sono certo, lo troveremo nominato tra i grandi scrittori classici, quelli che si studiano nei programmi della scuola dell’obbligo, proprio come succede ora coi big di un paio di secoli fa.
King è però anche lo scrittore più nominato anche da chi legge poco. Conosco dozzine di sedicenti appassionati di horror che dicono di aver letto King, non avendo praticamente mai provato altro. Passatemi il paragone, ma è un po’ come dire che mi piacciono i dolci, avendo mangiato unicamente le caramelle gommose della Haribo.
Anyway, sto facendo una digressione da quanto volevo dire oggi.
Ossia che, se King fosse un esordiente dei tempi moderni, verrebbe probabilmente stroncato dai tanti blogger saccenti e monomaniacali che infestano il Web.
Sapete, tutti quelli che si riempiono la bocca di grammar nazi, show don’t tell, infodump e cose del genere, dall’alto dell’aver letto un paio di manuali di scrittura.

Perché, diciamocelo chiaramente, il King degli inizi ha tutte quelle peculiarità che lo farebbero bocciare da alcuni editori e da tutti questi #MassimiEsperti di scrittura, che spuntano come funghi, nelle loro stanzette da universitari fuoricorso frustrati dalla vita.

Innanzitutto le prime opere del Re sono tremendamente prolisse. Penso a caposaldi della letteratura horror, che ho amato con tutto me stesso: L’Ombra dello Scorpione e IT (soprattutto). Libri che un editor moderno taglierebbe del 25-35%, magari sbagliando o magari no, chissà.
Sforbiciando qualche centinaio di pagine le storie in questione ne risentirebbero? I fan urleranno alla blasfemia, ma in realtà sospetto anch’io che un editing moderno riuscirebbe a snellire i due romanzi. Oppure, ma questa sarebbe una tragedia, una casa editrice furbetta trasformerebbe un libro come IT in una trilogia (se non peggio).

Stephen King e Clive Barker.

Altra faccenda: i finali. Da sempre punto debole delle storie di King.
In realtà alcuni suoi romanzi hanno delle conclusioni assolutamente valide. Penso a Misery non deve morire e a Salem’s Lot. Altri invece denotano una certa debolezza, una mancanza di “ciccia”, dopo un’ottima costruzione della trama e dalla storia. L’esempio più recente è Doctor Sleep, che a me è piaciuto parecchio (a molti no, mi pare di aver capito), ma che ha un finale deboluccio.
Oggigiorno, se non si trattasse di King ma di un autore qualunque, una storia con una conclusione poco convincente verrebbe rimandata al mittente. O magari, tornando al worst case scenario del punto precedente, l’editore chiederebbe allo scrittore di modificare il finale, ottenendone uno aperto, per agganciare uno o più sequel.

In ultimo potrei anche tirare in ballo la (presunta o reale? Bah…) ripetitività delle trame proposte da King, che spesso e volentieri riprende dei canovacci a lui cari e li ripropone in versione leggermente modificata. Pensata per esempio a Christine la macchina infernale e Buick 8.
Un editore moderno permetterebbe a un autore di media fama di autoplagiarsi? Non credo. Anche se è prassi – e questo non è cambiato dagli anni del giovane King a oggi – concedere al bestsellerista di turno di sfornare storie spesso molto simili tra loro.

Christine, artwork di Peter Stanimirov.

Potrei andare avanti ancora a lungo con quest’analisi, che comunque già così risulta più ragionata rispetto all’articoletto idiota scritto da Alessandro D’Avenia, il classico signor nessuno che ha ottenuto i suoi cinque minuti di popolarità criticando Revival, l’ultimo romanzo di King (già un successo di vendite, come prevedibile).
Dunque chi ha ragione? Chi difende il Re a spada tratta, o questi nuovi avventurieri dell’editoria e della scrittura, che dall’alto di una spocchia senza pari credono di poter bocciare autori che, nel bene e nel male, sono già entrati nella cultura popolare?

La verità, come sempre, sta nel mezzo.
Vero è che ad autori come King si concede tutto, tanto venderebbero anche la lista della spesa.
George R.R. Martin, tanto per fare un nome, è interessato dalla medesima deificazione. Basta fare un giro in libreria per trovare dei suoi vecchissimi racconti riproposti come se fossero nuovi e venduti a non meno di 20 euro (copertina rigida, titolo in decalcomania, carattere enorme per aumentare il numero di pagine).
Vero anche che va di moda sparare sul bersaglio grosso, per fare gli alternativi, per guadagnarsi un poco di fama (vedi il già citato D’Avenia), per auto-incensarsi in qualità di critici severi, implacabili e preparatissimi. Del resto viviamo nel periodo in cui il Web pullula di #MassimiEsperti.

L’unica cosa di cui varrebbe sempre la pena tener conto è che non esistono singoli autori che rappresentano l’élite di specifici generi letterari.  Variare, allargare gli orizzonti e aumentare il proprio borsino delle letture è senz’altro utile a saper giudicare meglio quanto si legge.
Al contempo non si può trascurare quegli autori che hanno effettivamente avuto l’enorme merito di aver sdoganato dei generi di nicchia agli occhi del pubblico generalista. Che poi, per dirla tutta, è quel pubblico che in un anno solare legge poco o un c*zzo.

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(A.G. – Follow me on Twitter)


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