“Ciudad Juárez, Messico: la città più violenta del mondo. Narcotraffico, guerre di bande, migliaia di donne stuprate e uccise. Due artisti ne percorrono le strade, ascoltano le voci, ritraggono i volti degli abitanti per cercare una scintilla di speranza. Un diario di viaggio, un intenso reportage disegnato che diventa un inno alla vita.”
Come si legge tra le pagine, cos’è che vogliamo capire? E com’è possibile che certi orrori accadano? Eppure c’è tempo per godersi una partita a canestro e di colpo “le sirene dei poliziotti suonano come nei videogiochi”. E poi ci sono i sogni di tutti.
Il Messico per me: le avventure di Tex, le maglie e le parate impossibili di Jorge Campos (uno dei primi dispiaceri calcistici fu la sconfitta ai rigori contro la Bulgaria durante USA ’94; no, non tifavo Italia, ero piccolo e stronzo, e nonostante Baggio, mi stava sul culo Sacchi e le partite mi parevano di una bruttezza infinita). Un vago senso di affetto per quel paese in fondo sconosciuto. Memorie cinefile sparse: Traffic, Non è un paese per vecchi, El Mariachi. Collateral. Quello che dimentico.
Femminicidio, Maquiladoras, l’immenso 2666 dell’immenso Bolaño, e poi I detective selvaggi, con un incipit fenomenale: “Sono stato cordialmente invitato a far parte del realismo viscerale. Naturalmente, ho accettato. Non c’era stata cerimonia di iniziazione. Meglio così.”
Bonus track (un nuovo progetto che vede coinvolto il mio amico bassista e compagno di gruppo):