Nato nel lontano 1922, il friulano Damiano Damiani, ricordato dai fan dell’horror su celluloide per aver curato il riuscito Amityville possession (1982), ci ha lasciati nel Marzo del 2013 rimanendo nella memoria di tutti come uno dei cineasti nostrani maggiormente propensi ad affrontare tramite la Settima arte gli argomenti più scottanti legati alla spesso poco confortante realtà socio-politica italiana.
Non a caso, tra un Confessione di un commissario di polizia al procuratore della repubblica (1971)
Da non confondere assolutamente con i vari poliziotteschi e film di mafia in voga negli anni Settanta, costruiti principalmente sull’intrattenimento a suon di sparatorie e violenza, si sviluppa intorno alla figura di Giacomo Solaris: regista impegnato con le fattezze di Franco Nero, il quale, raccolte informazioni su più fronti e realizzato un documentario volto a mettere in cattiva luce un alto magistrato, si trova ad indagare proprio sulla morte dell’uomo, vittima di un attentato in seguito alla presentazione a Palermo della sua opera.
Nel corso di oltre un’ora e quaranta di visione che, comprendente nel cast Françoise Fabian, Renzo Palmer e Tano Cimarosa, sembra quasi individuare in Solaris un allegorico riflesso su pellicola dello stesso Damiani; man mano che i morti aumentano e la verità su quanto accaduto si fa sempre più vicina.
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Bara sostituita da un carro funebre trainato dai cavalli in questa continuazione che, dopo quindici anni trascorsi in convento al fine di espiare tutti i morti lasciatisi dietro in passato, lo porta a tornare all’opera dal momento in cui apprende che una figlia che non sapeva di avere è stata sequestrata dal truce capitano ungherese Orlowsky alias Christopher Connelly, il quale commercia in schiavi a bordo della sua inespugnabile nave-fortezza.
Perché, pur rientrando l’operazione nel genere western, a partire dalla locandina risulta non poco chiara l’influenza da parte del machismo reaganiano degli anni Ottanta, testimoniata non solo dalla evidente sete di giustizialismo che attraversa il plot, ma anche dall’uso proto-John Rambo del mitragliatore e da decapitazioni e battute ironiche alla Commando (1985).
Tanto che, mentre troviamo in scena anche Donald Pleasence, William Berger e Licinia Lentini e non manca neppure l’amicizia tra l’eroe ed il bambino, elemento tipico dell’epoca in cui il film venne concepito, l’esperienza che si vive nel visionare il lavoro di Rossati – tra gli ultimi dell’ondata di genere nostrana – non tarda ad apparire piuttosto surreale, in quanto dispensatrice di una vicenda ambientata nel passato, ma rappresentata con tecniche e toni decisamente moderni da action-movie a stelle e strisce.
Ne parlano anche il costumista Toni Rossati e il montatore Adalberto Ceccarelli nell’intervista di quarantuno minuti offerta dal comparto extra del disco.
Francesco Lomuscio