Ma confesso di essere stato ottimista: tutto è molto peggio di quanto pensassi perché troppi nodi sono venuti al pettine all’improvviso dopo vent’anni di immobilismo, compresi quelli insoluti dell’Europa. Quando lo spread e la Merkel hanno detronizzato Berlusconi molti hanno tirato un sospiro di sollievo e l’avvento dei tecnici è stato salutato come una pastiglia Valda dentro un’atmosfera mefitica, pensando che non soltanto essi avrebbero raddrizzato la barca, ma che avrebbero potuto traghettare il Paese dalla riva dei nani e ballerine a quello di una normale democrazia. Si è trattato però di un errore: la resa della politica incapace di prendere in mano la situazione proprio quando le pressioni della finanza avrebbero richiesto un governo pienamente legittimato dalle elezioni, l’illusione che personaggi radicati nel mondo e nell’ideologia finanziaria avrebbero dato autorevolezza al Paese, invece di favorirne la resa ai “poteri forti”, la totale noncuranza del ceto politico verso l’insieme della società italiana, è stato un espediente pienamente dentro la logica del berlusconismo.
Anche per questo la scelta degli uomini – ammesso e non concesso che non si sia trattato di un imposizione – si è rivelata disastrosa: un’inedita miscela di teorici liberisti senza alcuna vera conoscenza dell’economia e del Paese reale e per giunta affetti da sociopatia , uniti a vecchi arnesi e nuovi rampolli della razza padrona come garanzia per la casta. Roba da ammazzare un toro, figuriamoci un Paese già reso fragile da troppi anni di malaffare e chiacchiere: e i risultati si vedono ogni giorno.
Dopo sette mesi di regno però il tavolo in Europa e nel mondo è cambiato: le necessità e le logiche nelle quali è maturata quest’ultima avventura, ossia il salvataggio dell’euro con le regole e nel contesto in cui era nato, sono completamente saltate. Adesso la questione che viene posta a livello continentale è un’altra: o la moneta unica viene sostenuta da un’unione politica di cui tuttavia si vedono solo gli appelli, ma non le tracce e i presupposti o la moneta unica è destinata a saltare. I sacrifici e la recessione che stiamo subendo non servono ad alcun rilancio, ma solo a guadagnare tempo in vista delle elezioni americane e – se ci si riesce -quelle tedesche dell’anno prossimo. Ma una crescita dentro questo euro dove chi ci guadagna non vuole dividere nulla del bottino, implicherebbe un cambiamento radicale e improvviso di tutta la società italiana e del suo mondo produttivo, cioè qualcosa di impossibile. L’alternativa è una caduta lungo un precipizio con il supremo obiettivo di diventare una piccola Ucraina, se va bene.
Dunque con qualche piccolo aggiustamento riprendo le mie vesti di Cassandra e oso dire che il problema non è se usciremo dalla moneta unica, ma quando e in che modo, con che presupposti e programmi , con quali misure e quali accorgimenti. La devastazione della politica operata dal berlusconismo ci ha tolto la possibilità di pesare in questi mesi sulle scelte europee e oggi di saldare una vera alleanza con la Francia, visto che essa andrebbe contro ogni credo del nostro premier e contro ogni suo personale contatto, storia, amicizia e reddito. Ecco perché in mezzo a tutto questo, l’assurdo più evidente, l’irresponsabilità più grande è il rifiuto del mondo politico di constatare il fallimento della strada intrapresa, di vedere i pericoli per la democrazia che esso rappresenta, sempre ovviamente che gliene importi qualcosa, visto che considerano scandaloso e improprio dare la parola ai cittadini. Sarebbe davvero l’unica residua possibilità di trovare una qualche soluzione, anche di passaggio, per tenere in vita l’euro e con essa la stessa unione.