Un fare complesso

Da Narcyso

Questo come lettore.
Come critico, io penso di avere il compito, prima di ogni cosa, di prendere atto della coerenza interna dei percorsi, valutando le cadute non come cadute in sé ma come fibrillazioni di un progetto più generale, la cui tenuta, quindi, è da verificare in rapporto a quantità e dislocazione dei punti deboli e dei punti di forza – non sopporto, e a volte mi fanno veramente arrabbiare, certe operazioni di analisi testuale che partono da un preconcetto di vivisezione, dimostrando la debolezza della tale immagine, o verso, o passaggio -.
Il lettore (vedi qui) anch’esso è responsabile di un gesto creativo verso l’opera, ed è l’opera che glielo chiede, – quando l’ opera sia disposta a farsi ferire, a mostrare una sua necessaria vulnerabilità -.
Poi, se il mio parlare proviene da un discorso di gusto, in tal caso sarebbe meglio limitarsi alle esternazioni personali, senza pretendere di giungere a conclusioni critiche canonizzabili. Il rischio della presunzione, quando si esprimono giudizi troppo netti, si sa, è sempre alle porte.
Io penso che non sia possibile escludere nella lingua poetica considerata come organismo, seme di se stessa, la possibilità di abbracciare una complessità sporca, tracciando anche percorsi che vadano in direzioni diverse, certificabili per un grado di permeabilità, piuttosto che per una necessaria compiutezza, per il raggiungimento, cioè, di stadi di originalità o bellezza ritenuti difficilmente negoziabili; ma in nome del dono della veggenza, questa volta sì, come dice Morasso, se questa si dimostri capace di metterci in contatto con gli spazi interiori, col lucido riconoscimento di uno squallore – ma anche di una possibilità – nel seno della nostra casa sociale, la polis; e se poi questo avvenga permeando i risvolti metatestuali e le riflessioni, col sangue vivo della pietas, ( imputo alle avanguardie, il peccato della freddezza, della spoccheria formale e di una sostanziale indifferenza, malgrado le dichiarazioni, verso il reale).
In fondo la grande tragedia greca ci insegna che la coesistenza tra le ragioni del tragico, dell’ineluttabile, e quelle della condivisione, nella parola, delle ragioni di un vivere civile, è possibile e auspicabile.
Ciò che autorizzo con il mio intervento di lettore necessario, è un’idea di arte non dichiarata né formalizzata, piuttosto di techè magistrale, e non di gesto secondario. Il mondo che non sa, si rivolge alla sibilla per sapere, legge l’ineffabile per necessità e lo sbeffeggia quando la formula non abbia sortito lo scopo, l’utilità. L’arte, insomma, è un fare complesso, che non si nasconde dietro gli steccati del contorno ma abbraccia il vasto orizzonte del possibile, del rischio, della scommessa e persino della perdita.
Sebastiano Aglieco


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