Come leggiamo nella scheda del libro "le ricette qui raccolte sono quelle degli anni e delle villeggiature delle due sorelle. E dalle pagine del ricettario familiare, limate dall'uso e dagli aneddoti, riaffiora tutto un mondo perduto di personaggi, di atmosfere e di sensazioni, i molti fantasmi benevoli che affollavano i giorni assolati di due bambine, in una grande casa padronale di metà Novecento. Tra i sapori e profumi delle ricette di casa Agnello ci sono quelli, mai nostalgici ma sempre intensi e fragranti, del tempo trascorso a cui il talento della scrittrice dona il gusto dell'eterno presente della vita".
- Simonetta, secondo te, in un modo o nell'altro, il modo di cucinare e di mangiare rivela qualcosa di un popolo?
"Brillat-Savarin afferma: dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei. Per cui la cucina - cosa si cucina, come si cucina, cosa si mangia - svela tutto di un popolo. Così come il modo in cui si allevano gli animali e si uccidono, da come si mangia, dal rapporto con la divinità rupestre, campestre. D'altra parte, mangiare è l'attività fondamentale dell'uomo perché deve sopravvivere mangiando.
- Com'è il tuo rapporto con la cucina?
Ho sempre cucinato, sin da ragazzina, Non ho mai comprato cibo cotto. Anche quando devo cucinare per sessanta persone, faccio tutto io. Poi magari mi faccio aiutare dai camerieri. Però cucino io. Mi piace cucinare, ma sono una cuoca veloce, non raffinata. Inoltre ho preso poco dai paesi in cui ho vissuto. E mi dispiace. Avrei voluto imparare di più. Ma, forse perché sono una cuoca che fa tante altre cose, rimango sulla mia cucina siciliana che - tra l'altro - è ottima.
- "Un filo d'olio" può essere considerato un romanzo della memoria?
E' senz'altro un romanzo della memoria. Della memoria ricostruita. In effetti è stata elaboratissima, la nostra ricostruzione. Ho cominciato a ricordare insieme a mia sorella Chiara. Quello che lei ricordava però, non sempre era quello che ricordavo io. Poi abbiamo parlato con nostro cugino Silvano, il figlio di zia Teresa, che aveva il compito di riempire i vuoti. Li ha riempiti, ma ne ha creati altri... perché lui ricordava cose che noi non ricordavamo. Allora ci siamo dovute sforzare per ricordare di nuovo. Poi abbiamo chiesto a un contadino che ci conosceva, il quale ci ha aiutato a colmare alcune lacune della nostra memoria. Alla fine abbiamo deciso di riportare sul libro gli avvenimenti che erano rimasti nella memoria di almeno due di noi.
- Una bella esperienza, immagino...
Un'esperienza divertente che ci ha unito e ci ha fatto ritornare di nuovo bambini, in un'atmosfera che non è mai stata di rimpianto, ma di speranza per il futuro, per i nostri figli.