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Un fine settimana di ordinaria follia

Da Abattoir

martedì 11 settembre 2012 di

Bene, questo fine settimana non lavoro.

Ottimo! Dopo tre settimane di appassionati straordinari, posso permettermi di riposare un sabato e una domenica di fila senza preoccupazioni.

Venerdì sera lo passo a casa con il mio coinquilino, anche lui superstite in questo agosto di passione: ci si dimentica della settimana di ferragosto succhiando teste di gamberoni e sorseggiando prosecco tiepido.

Sì perché è proprio vero che ad agosto le città si svuotano, le fabbriche chiudono e la gente va via, al riparo dal caldo e dall’afa torrida di questi interminabili giorni.

Quello che mi chiedo è: ma dove cazzo vanno tutti?

Quei pochi amici che ho qui al Nord sono “scesi giù” dai parenti. E con invidia me li immagino lì, al mare, a mollo sotto un sole cocente, mangiando frutta fresca e dissetandosi con bibite congelate, aspettando intrepidi l’ora di tornare a casa per farsi una doccia e uscire la sera, senza fretta, senza impegni. 

Ma a parte la maggior parte degli italiani che sceglie (o è costretta) a sfruttare il periodo più caldo dell’anno per andare in vacanza, quello indicato con il “bollino rosso”, a parte questo oceano di sfollati causa caldo, esiste un esercito di lavoratori stacanovisti (o presunti tali) che deve fronteggiare l’incombente emergenza personale.

Una ditta di trasporti (ed è il mio caso), per esempio, durante l’estate deve districarsi tra divieti al traffico e restrizioni alla circolazione che, anziché diminuire la mole di lavoro, aumentano lo stress per i poveri dipendenti rimasti ligi sul proprio posto di lavoro, come in trincea. La premessa è che l’eccessivo caldo costituisce un’attenuante in caso di omicidio.

Nel caso dell’impiegato che lavora durante il periodo estivo il caldo è motivo ingiustificato di sclero e di stress.

Mettiamola così, mentre il resto del mondo cerca di chiudere tutto prima di andare in vacanza, tralasciando particolari e fregandosene di eventuali conseguenze, chi rimane deve lavorare il doppio per rimediare a spiacevoli e incresciosi errori di valutazione causati dai dipendenti con la testa già alle calde spiagge di qualche isoletta!

Ma come diavolo si fa a mantenersi lucidi quando anche alle lucertole scottano le zampette?

Come si fa a non distrarsi pensando che da piccolino ti lamentavi quando tua madre ti svegliava alle 7.00 per andare a mare a Isola delle Femmine per evitare il casino e, per farti stare buono, ti comprava le pizzette al panificio?

La mente viaggia, come evaporata dal troppo caldo e la tensione aumenta insieme alle ore di straordinario. Ma poi, un giorno, arriva quel fine settimana dopo ferragosto in cui si paventa la possibilità di stare tranquillo e sereno.

Già, potresti! Il fatto è che con la città svuotata non hai molto da fare. Da Solo come un cane alla ricerca di stimoli extra lavorativi, ci si ritrova un sabato pomeriggio a vagabondare per un centro commerciale semideserto unicamente per scampare alla canicola pomeridiana della Pianura Padana.

Dopo aver preso un caffè e comprato due spugnette per i piatti con annesso detersivo, si ritorna soli nella propria casa anch’essa deserta, calda e strapiena di mosche e zanzare, attirate dalla merda che fertilizza i campi limitrofi e dalle poche pozzanghere ristagnanti che un tempo furono ruscelli e canali per l’irrigazione dei suddetti campi. Dopo una “pizzata” con i fratelli al sabato sera, arriva la domenica.

Se avessi potuto, avrei trascorso tutta la domenica a letto guardando film con il ventilatore attaccato al culo e una bottiglia di acqua fresca accanto.

Ma non è così… Il PC è fuori uso e il ventilatore surriscaldato funziona a intermittenza.

Si tratta di un vero e proprio incubo. Non c’è che dire.

Che fare? L’unica alternativa, a questo punto, è stonarsi, rintronarsi e cercare di dimenticare.

Decido quindi di saltare a piè pari la colazione e optare per in favore di un sostanzioso rigatone con zucchine e gamberi residui. Naturalmente il tutto innaffiato da un vino cataratto siciliano adeguatamente “agghiacciato”.

Mentre tra vino e fornelli sto perdendo circa il 50% dei liquidi utili del mio corpo, comincio a parlare da solo inveendo contro le mosche.

Sono solo, in preda ad allucinazioni etiliche, preparando il pranzo/colazione alle 11.13 di una fottutissima domenica di un maledetto agosto. Ottimo. Il tempo di “impiattare” i 239 grammi di pasta con abbondante condimento, che il mio brunch sui generis è già finito, insieme al vino.

Riesco a mala pena a svenire sul letto e ritornare ad avere gli incubi da impiegato stressato.

Mi appaiono camion che non arrivano a destinazione con autisti serbi, polacchi e cubani che bestemmiano in tutte le lingue del mondo.

Sogno di sbagliare pensando di non aver calcolato tutte le variabili, mi agito e sudo. Poi ad un tratto mi sveglia il telefono.

Non è possibile, mi stanno chiamando dal lavoro. Quei secondi che mi separano dal dire “Pronto” servono per capire se il sogno è ancora in atto o se veramente c’è un problema a lavoro.

“Si …”.

“Ciao Carlo, scusa se ti disturbo, ma… c’è un problema!”.

E mi vedo crocifisso davanti ad un camion con dirigenti spagnoli che, armati di cinghie metalliche infieriscono sul mio corpo nudo, bianco e denutrito.

“Cosa è successo!?!?”

“La macchinetta del caffè non funziona, lunedì bisogna chiamare il tecnico”.

Ora, io comprendo perfettamente quanto sia importante la macchinetta del caffè per un magazzino, ma era un sogno, Cristo santo!

Morale della favola: mi alzo dal letto tutto sudato con una cinquantina tra mosche e zanzare che assaggiano il mio corpo, come se già fossi cadavere!

Faccio una doccia, ma sono solo le cinque del pomeriggio.

Esco per buttar via la spazzatura, magari i resti di gambero attirano le mosche.

Rientro appena in tempo prima di collassare per il troppo caldo.

Tornato in me capisco che alle mosche piaccio proprio io e non le teste mozzate di quattro gamberi, crollo su divano del salotto con una birra fresca in mano. In televisione parte un film di Totò, un classico della domenica, e subito dopo un film di Mel Brooks. Questo fa passare allegramente il pomeriggio, almeno, se rido da solo, c’è un motivo e la gente che mi scorge dal palazzo di fronte eviterà di chiamare la polizia.

Alla fine si fa buio e, stanco di non aver fatto niente e annoiato dalla solitudine, mi sdraio sul mio letto, tornando a pensare al lavoro con quattro zanzare che tentano imperterrite di stuprarmi.

Basta, ultima sigaretta e poi a letto ché è già lunedì.

Lunedì vuol dire lavoro e sarà una giornata dura e stressante come tutti i lavori di questo mondo, ma almeno lì c’è l’aria condizionata, sperando che almeno quella lunedì funzioni.


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