Un gioco di parole

Creato il 15 dicembre 2013 da Gadilu

Talvolta certi problemi, che a prima vista si presentano come insolubili, diventano, o perlomeno sembrano diventare, facilissimi da risolvere cambiando semplicemente le parole con le quali vengono posti. I più scettici diranno che in realtà non è cambiato nulla, ma almeno per un po’ si eviterà di discuterne.

Potrebbe essere questa la sintesi dei colloqui intercorsi tra i delegati della Svp e del Pd in vista dell’accordo di governo che darà vita al nuovo esecutivo provinciale. Uno dei nodi cruciali, come noto, era quello del plurilinguismo. Dal Pd inteso come imprescindibile obiettivo formativo da incrementare in ogni modo possibile, dalla Svp invece considerato un tema sì importante, ma da affrontare con la la prudenza del caso.

Com’è andata a finire? Con una sensibile variazione della terminologia, per l’appunto. E poco altro. Archiviata ormai per sempre la temutissima espressione “immersione”, attraverso slittamenti e aggiustamenti progressivi adesso si è arrivati ad “offerta plurilingue”. Formula che – nonostante presupponga comunque l’idea di insegnare le lingue non in quanto tali, bensì sfruttando la trattazione di altre discipline – evita di alludere a interventi troppo radicali, non nomina direttamente l’istituzione scolastica (“scuola plurilingue” avrebbe nuovamente fatto pensare a qualcosa di troppo estremistico) e insomma si limita a suggerire una possibilità in più, cioè una possibilità fra le altre.

Il risultato di un tale gioco di prestigio terminologico è fondamentalmente uno: sia il Pd che la Svp potranno presentarsi davanti ai propri elettori e all’opinione pubblica dicendo che non hanno tradito la loro impostazione di fondo. Intanto la cosa essenziale, cioè la firma dell’accordo di governo, potrà essere apposta senza dar vita a battaglie ideologiche che non servirebbero a nessuno. Il problema, quello vero, però permane: anche ricorrendo all’espressione “offerta plurilingue”, infatti, le inibizioni, le asimmetrie e diciamo pure la psicosi che rende il Sudtirolo un luogo nel quale apprendere la “lingua dell’altro” costituisce percettivamente un ostacolo, anziché un’opportunità da sfruttare con decisione, restano tutte in campo. Se almeno lo si ammettesse, anziché fingere di festeggiare, avremmo fatto un vero passo in avanti. Il prossimo accordo di governo potrebbe così essere davvero stipulato sulle cose, e non soltanto sulle parole.

Corriere dell’Alto Adige, 14 dicembre 2013


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