Un giorno a Londra con Ginger Cat - l'inizio dell'avventura...

Creato il 10 luglio 2014 da Blackcat80
Tutte le storie hanno un incipit, tutti i viaggi hanno una partenza, tutte le avventure hanno un inizio - e a me e a Ginger Cat solitamente piace sempre cominciare le nostre con Londra.
Un po' per forza (avendo Torino e Genova collegamenti aerei diretti nel Regno Unito solo con la capitale), ma soprattutto per amore di questa città, i nostri viaggi in territorio britannico, che per noi somigliano sempre di più a dei ritorni a casa anziché a delle vacanze, cominciano e finiscono nell'Eterna Londra.
Quest'ultimo viaggio, per quanto mi riguarda, è stato preceduto da una settimana fatta di ritmi molto frenetici, di corse ansiose contro il tempo e di serate in cui il mal di testa mi trasformava in un animale da letargo - per cui non mi sono nemmeno resa bene conto che il tempo stesse passando, e, quando mi sono diretta in aeroporto, ancora non riuscivo a realizzare né di essere in vacanza, né di essere in partenza verso la mia seconda patria.
E' stato solo quando l'aereo ha cominciato ad abbassarsi, quando il paesaggio sotto di noi si è fatto più distinto e riconoscibile che la consapevolezza mi si è allargata nel cuore come un gran sorriso.
Il patchwork di quadrati di sfumature verdi della campagna è un pattern che qualunque viaggio aereo ti permette di vedere; ma quando cominci a distinguere i muretti a secco di pietre, le case bianche a graticcio, le automobili che corrono nel senso opposto a quello che ti aspetteresti, capisci di essere arrivata in Inghilterra.
L'aereo scende sempre più basso, i contorni del paesaggio si fanno sempre più netti e dettagliati: delle automobili si riconosce il modello, nei prati si vedono le pecore, si leggono le insegne dei locali.
E, in maniera un po' brusca, siamo ormai sulla pista dell'aeroporto di Stansted: flotte di aerei Ryanair parcheggiati tutto intorno, giusto un paio di intrusi arancioni della Easyjet.
In un angolo, come reperti da museo, vecchi bombardieri della II Guerra Mondiale della Royal Air Force - quelli che mia nonna chiamava roiailérfur, perché non sapeva l'inglese ma li conosceva assai bene, quando venivano a seminare morte. L'arrivo dei roiailérfur era un incubo che cercava di esorcizzare storpiandone il nome in questo modo buffo, poi rimasto nel suo linguaggio comune: quando mia nonna apostrofava qualcuno dandogli del roiailérfur non gli faceva esattamente un complimento.
Con gli anni io & Ginger abbiamo imparato ad essere viaggiatrici sempre più minimal, e a compattare tutte le nostre esigenze solo in un bagaglio a mano, anche per un viaggio di 12 giorni come questo; così, sbrigate le formalità di controllo passaporti, ci possiamo dirigere immediatamente allo Stansted Express, dirette verso la stazione londinese di Liverpool Street.
A bordo addentiamo i nostri sandwich acquistati per pranzo - e questo è il nostro rito di ritorno nel Regno Unito: l'ode al sandwich britannico.

Un giorno dovrò scriverla - ma per il momento continua ad essere composta solamente da nostre esclamazioni di piacere fatte in ordine sparso con la bocca piena.
Che ripieni vari e sfiziosi hanno. Che pane morbido e gustoso. E le salse... non si limitano all'ottusa maionese come avviene da noi, che viene spalmata indistintamente su qualunque tipo di ripieno, in quantità tali da ammazzare qualunque altro sapore: no, le salse usate nei sandwich inglesi sono dosate ed abbinate con sapiente maestria.
D'altro canto, l'Inghilterra è il Paese che li ha inventati.
E io mi inchino riconoscente al Conte di Sandwich e alla supremazia della sua patria nell'arte del panino, andando prontamente a svaligiare famelica gli scaffali del primo Marks & Spencer che incrocerò lungo il mio tragitto.
Una scatola di sandwich è anche l'immancabile souvenir che mi porto sempre a casa quando ritorno: un modo per gustare ancora un po' l'arrivederci alla mia amata seconda patria e sconfiggere la malinconia del rientro.
Oh...
Sto diventando troppo sentimentale? Questo blog sta diventando una Beautiful del pan carré?
Beh, un difetto ce l'hanno anche i sandwich britannici.
C'è sempre il cetriolo di mezzo.
E io il cetriolo lo detesto. Non lo digerisco. Mi dà fastidio il suo sapore, inquina tutto il resto.
E, nascoste sotto il cheddar, pizzicate fra una foglia d'insalata ed un trancetto di pollo, mimetizzate con la salsa allo yogurt, tre o quattro fettine dell'intollerabile cucurbitacea verde si trovano sempre.
Ma, come si dice, del resto per essere perfetti si ha bisogno di un difetto...
E così siamo a Londra.
Se prima non lo realizzavo, ora ho invece la sensazione di non essere mai andata via - e l'Italia mi pare lontanissima, mi pare non appartenermi più.
Vi capita mai di avere difficoltà a descrivere le cose belle? Intendo proprio quelle più belle in assoluto?
Io con Londra ho questa sensazione.

Ho scritto relativamente pochi post su questa città, nonostante sia il luogo fuori dall'Italia che ho visitato più volte, e probabilmente sia la città che più amo.
Vorrei poter scrivere qualcosa di bello su di essa, qualcosa di diverso, qualcosa che sia solo mio. Vorrei poter essere capace di trasmettere tramite le parole la sua essenza, la sua personalità unica. Soprattutto vorrei riuscire a trasmettere quello che rappresenta per me, il perché io la ami così tanto. Come mi fa sentire. Il senso di possibilità che mi dà.
Ma ho sempre l'impressione che Londra mi sfugga, mi scivoli via fra le dita.

Più mi soffermo e provo a capirla, a spiegarmela fra me e me, e più mi sembra di non conoscerla affatto, in realtà.
Forse sta proprio qui il suo fascino, il calibro magnetico della sua personalità.
Accade inequivocabilmente ogni volta che la incontro.
Riesce a stupirmi, riesce a mostrarmi aspetti di sé che per me sono non solo inediti, ma inaspettati.
Eppure c'è sempre un fil rouge: Londra ha moltissime facce, è fatta di tantissime cose, ma queste tantissime cose possono essere solo a Londra, da nessuna altra parte al mondo. Hanno sempre il suo marchio di fabbrica, la firma della sua personalità inequivocabile, il suo fil rouge che le lega.

Magari è anche per questo che il mio desiderio di tornarci è sempre così forte: voglio scoprire il fil rouge, scoprire di cosa è fatto, andare dritta nel suo cuore...
Questa volta è stata una piccola area pedonale nei dintorni di Pentonville Road.

C'erano edifici georgiani alti e severi, arancioni, che circondavano come mura cortili silenziosi fatti degli stessi mattoni arancio. Qua e là c'erano strani graffiti bianchi che sembravano quasi simboli mistici.
Ogni tanto spuntava qualche albero ad inframezzare di verde l'arancio dei mattoni.
Cadeva una pioggia lieve e malinconica, e il cielo grigio fumo sembrava sospirare.

Forse non c'è niente di davvero poi così magico in questo angolo, ma mentre ci camminavamo, con l'ombrello in mano e senza scattare fotografie, mi sembrava quasi di essere tornata indietro nel tempo, e che lì qualcosa di importante sia accaduto, che fra quelle mura silenziose come una clausura volontaria ci siano diverse storie da raccontare...
E magari una piccola storia ce l'avrà anche questa Highland Coo che è venuta in gita a Londra e che ha pensato bene di perdersi proprio qui.

Due passi e ci troviamo a Bloomsbury, con la sua eleganza d'altri tempi, da cartolina.

Bloomsbury è fatta di dimore vittoriane bianche e nere, sobrie ma sontuose.
In mezzo, piccoli parchi-gioiello, minuscoli e curati, verdissimi, disegnati da qualche architetto per fare pendant con i palazzi.
Fontane, panchine, gazebo e giochi d'acqua.
Ombrelli e piccioni.

Patisserie Valérie è una catena, ma ha ancora il sapore di una "vera" pasticceria.
Il suo logo in stile art déco evoca subito atmosfere d'altri tempi, e, anche se i locali sono arredati in stile piuttosto minimal, sono accoglienti come una tearoom d'antan con pizzi e merletti.

[oh, e il succo di mirtillo... perché in Italia non ce l'abbiamo il succo di mirtillo così?? Solo succo, niente polpa, trasparente e dolce... ]
Altri due passi ancora e siamo a Covent Garden.

Covent Garden è uno dei miei posti preferiti di Londra - non tanto per i negozi, o per il mercato; ma semplicemente per i colori, e per la gente che si muove fra di essi. Covent Garden è uno dei miei posti preferiti dove poter stare ore ad osservare la gente: non so perché - forse perché in mezzo ai suoi colori le persone sembrano attori su un palcoscenico, e chissà che parte sceglieranno di recitare.

C'è il Man with Big Balls che riesce ancora ad incantare i bambini facendo il giocoliere; c'è l'artigiano delle bambole di ceramica che ti racconta come ogni bambola sia unica e scelga da sola il suo nome e la sua personalità, in base a come viene fuori quando esce dal forno dopo la prima cottura.
Pioviggina ancora, ma qui sembra che ci sia l'arcobaleno.
Ora che raggiungiamo l'Embankment la pioggia ha smesso.

Big Ben & Houses of Parliament si specchiano nelle pozzanghere, che sono lucide ed argentee come cristallo.

Anche il London Eye si controlla il trucco in uno specchio d'acqua estemporaneo, mentre continua a girare - lento, ma senza mai fermarsi.

E in queste pozzanghere forse comincio a vederlo un po' il fil rouge dell'anima di Londra, attraverso il profilo dei suoi simboli più celebri, che rappresentano le sue anime, di tradizione e storia e di modernità in continuo divenire: si guardano negli occhi tutti i giorni, ma non si sfidano, rimangono fianco a fianco, mentre l'acqua del Tamigi continua a scorrere, la ruota panoramica continua a girare e i rintocchi dell'orologio continuano a dettare le pietre miliari della giornata.

Forse il posto migliore dove trovare il riassunto dell'anima di Londra è proprio il suo skyline lungo il fiume...
Ci avviamo verso Trafalgar Square lungo una Parliament Street chiusa al traffico, curiosamente arruffata dai postumi del gay pride come un salone dopo una festa.
Per strada incrociamo coppie di ragazzi biondi e minuti che si tengono per mano, con l'arcobaleno dipinto sui polpacci, e barbuti bikers vestiti di pelle nera.

Ragazzi e ragazze dal look arcobaleno si precipitano verso la piazza, dove l'Ammiraglio Nelson assiste al concerto dall'alto della sua colonna.
Ceniamo in un ristorante indiano nei pressi di King's Cross.

In TV stanno trasmettendo Brasile - Cile, ed i camerieri indiani supportano la nazionale padrona di casa del Mondiale probabilmente per riguardo nei confronti di una tavolata di accanite tifose carioca.
Poco più in là un distinto signore in tweed disquisisce di società con un perfetto accento Oxbridge.
Nel tavolo vicino al nostro una signora russa, seduta al tavolo con i due figli adolescenti, piange ininterrottamente.
Il nostro butter chicken è giallo, anziché rosso come al solito.
No, forse il fil rouge che unisce le diverse anime di Londra nemmeno questa volta sono riuscita a coglierlo.
Ma continuerò a cercare...