Deludente. Non ci sono altre parole per descrivere sinteticamente l’ultimo film di Giorgio Diritti, uno dei migliori registi italiani in attività. Certo, era difficile rimanere sui livelli de L’uomo che verrà. Ma qui il bersaglio è lontano, e di parecchio. Vuoi per la recitazione dei personaggi, alquanto approssimativa, vuoi per la costruzione del racconto, alquanto inefficace.
Inefficace perché la trama, che c’è e si fa sentire nella prima parte, svanisce progressivamente dalla seconda metà in poi della pellicola facendo mancare sostegno alle riflessioni sulle importanti tematiche trattate (la vita, la religione, il valore della scelta nell’agire quotidiano), che finiscono così con l’essere toccate in modo superficiale e tangenziale lasciando nello spettatore una sensazione di (non costruttiva) incompiutezza.
Il film, dunque, non risolve e non si risolve, rimanendo in bilico tra un’opera di Terrence Malick (i panorami della foresta amazzonica dovrebbero essere il protagonista in più) e la tradizione riflessiva del cinema nordico (le considerazioni sulla religione proprie del cinema di Dryer e Bergman). Qualche scena fuori contesto (soprattutto quelle di ballo proprie della retorica morettina, sempre e comunque inutili) e qualche banale errore (un’edizione Adelphi dell’Attesa di Dio di Simone Weil che sembra impermeabile alle piogge torrenziali e un iPhone sempre funzionante, anche dopo giorni di viaggio su un’imbarcazione) ridimensionano ulteriormente l’ambizione di un’opera che, speriamo, possa dimostrarsi come il necessario “errore” prima di un altro capitolo degno di nota.
Voto: 6 ½ su 10
(Film visionato il 31 marzo 2013)
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