Non mi era mai capitato di seguire i lavori in corso o, meglio ancora, il dietro le quinte di un autore, di averne letto inconsapevole le prime prove di scrittura confluite, dopo varie mutazioni, nel suo primo romanzo.
Un giorno per disfare, infatti, è il risultato di un processo evolutivo, una sorta di germinazione che ha trasformato un seme acerbo in frutto maturo. Dal manoscritto Strade chiuse, che mi capitò di leggere nel 2011 al tavolo di Oblique, è uscito prima il racconto L’eloquenza delle nature morte pubblicato sul numero 0.5 di WATT, quindi il romanzo di esordio del giovane Raffaele Riba, pubblicato da 66thand2nd prima dell’estate.
«Il risultato complessivo è senz’altro di rilievo, interessante la soluzione narrativa adottata che gioca con lo spazio e il tempo in una sequenza non cronologica ma concentrica [...] Un ritmo serrato, una scrittura, quasi sempre efficace e netta, avvolgono il lettore e lo introducono senza pedanteria e artificio ai molteplici temi dell’esistenza: i rapporti fra genitori e figli, la fatica del vivere, la frustrazione di un sogno svanito, il fallimento che si trasforma in sconfitta inappellabile. Tutto è pervaso da una sottile e densa sofferenza, la tragedia è declinata con toni pacati, non c’è ostentazione ma semplice evidenza, non c’è disperazione scomposta ma dolore sommesso. Riba assiste e ci fa assistere alla tragedia dell’essere uomini con semplicità, come un fotografo che con il suo obiettivo immortala un fatto cronaca».
Mi piace partire da qui, uno stralcio della mia valutazione di allora, per provare a parlare di Un giorno per disfare, un libro in cui si rimane impigliati a lungo anche dopo averlo finito, sul quale ci si sorprende a riflettere la mattina appena svegli, mentre si beve il caffè o si guida nel traffico verso una qualsiasi giornata di lavoro.
Raffaele Riba scrive una storia ben ancorata alla realtà, mette in campo personaggi e vicende che nulla cedono alle trasfigurazioni ardite dello scrittore argentino. Se il bestiario cortazariano è metafisico e perturbante, popolato da animali invisibili e immaginari, non ci sono tigri metaforiche ad aggirarsi nelle pagine di Riba, ma scimpanzé di un circo prestati alla sperimentazione artistica della giovane Christiane in cerca di sé, oppure insetti, parassiti, lumache e lucertole che affollano la stanza di Matteo Danza, un dottorando in biologia che per inseguire una straordinaria intuizione finisce per bruciarsi le ali. Il volo pindarico di Danza è tutt’altro che mitologico: il ragazzo, infatti, si dà fuoco in un parco divertimenti di Parigi, davanti a una folla festante di bambini e adulti in cerca di svago. Un giornalista alle prese con i primi sintomi del Parkinson immortala in cinque scatti l’atto finale di una tragedia annunciata.
Indugiando ancora un poco sugli animali che popolano Un giorno per disfare, mi vengono in mente quelli di Zoo col semaforo, il libro di esordio di Paolo Piccirillo. Ma anche in questo caso l’associazione procede per distinzione. Gli animali di Piccirillo hanno coscienza e pensieri autonomi, compiono delle scelte. Gli animali di Riba, invece, sono solo comparse di uno spettacolo, oggetti di studio e sperimentazioni, strumenti per alimentare una speranza, per dimostrare un’intuizione.
Gli animali lottano quotidianamente per la loro sopravvivenza, così come accade per ciascun essere umano. Ma gli animali non hanno coscienza, non hanno volontà, mentre l’uomo sì. Ed è proprio questa differenza l’ossessione di Matteo Danza, che decide di scoprire il momento esatto in cui l’evoluzione di un cucciolo di scimpanzé si distingue da quello di un cucciolo di uomo. «La sua convinzione era semplice: se è vero che gli scimpanzé sono i nostri parenti più prossimi, se capiamo il momento del distacco tra noi e loro, avremo capito dove e perché comincia la nostra solitudine».
Capire la solitudine dell’uomo: è questa la fissazione del giovane ricercatore, nato a Cuneo e residente a Parigi, che ricorre ai testi di etologia e alle teorie di Lorenz per dimostrare la propria; comprendere il vicolo cieco evolutivo in cui l’uomo si è infilato per poter finalmente correggere il mondo.
Obiettivo ambizioso quanto irrealizzabile, una straordinaria intuizione che non regge il confronto con la realtà. Il fallimento di Matteo Danza è il fallimento dell’umanità, che in secoli di evoluzione si è condannata a vivere in cattività. «Tutti gli animali in cattività perdono connessione col resto. In qualsiasi zoo cominciano a comportarsi in maniera strana, spaesata. In cattività le leggi della biologia vengono sconvolte. Gli animali si deprimono, diventano violenti, si suicidano, oppure non rispondono agli stimoli, si ammalano. L’uomo è in cattività. Ed è per questo che i suoi comportamenti si sono alterati». Per Matteo, capire come e perché tutto questo sia accaduto non è stato sufficiente a salvarsi, ma forse il suo fallimento ci costringerà a riconsiderare la nostra quotidiana esistenza.
Ecco perché il libro di Riba non può essere liquidato come un romanzo qualsiasi, anche se ben scritto e originale nella costruzione narrativa. Un giorno per disfare non è solo la storia di Matteo Danza, ragazzo spaesato e ossessionato, ma un grappolo di storie e destini incrociati; è un romanzo complesso e profondo, una riflessione filosofica senza averne la presunzione o l’impostazione accademica, una rappresentazione polifonica della solitudine di uomini e donne, delle loro vite ordinarie occupate a farvi fronte, a tentare una nuova capacità di sperare.
Leggi la nostra recensione di L’eloquenza delle nature morte.
Nota sull’autore
Raffaele Riba è nato a Cuneo nel 1983, vive e lavora a Torino. È perito chimico, laureato in lettere e pubblicista. Nel maggio 2011 ha vinto la terza edizione del concorso 8×8, ha pubblicato alcuni racconti tra cui L’eloquenza delle nature morte su Watt e La crocifissione nell’antologia Si sente la voce (Cartacanta, 2012).Un giorno per disfare è il suo primo romanzo.
Un giorno per disfare
Raffaele Riba
66thand2nd, 2014
pp.144, € 15,00