Un giorno riuscirò a rischiare

Da Mammacattiva
[Paul Klee - Il funambolo]
I miei cari con me non tirano mai il fiato. Ogni tanto credono che mi sia messa l'anima in pace: quando ho messo su famiglia, ogni volta che ho cambiato lavoro, due giorni dopo il ciclo, il sabato mattina, dopo aver cambiato l'ennesima casa, ma poi bastano pochi giorni e qualche ora in più e Mamma Cattiva, il cui secondo nome è anima in pena, ricomincia a lamentarsi, a volere altro, a cercare un nuovo futuro,  a voler trovare un'ennesima soluzione a quel certo non so che.
Non sono mai convinta di nulla. Il vero rumore di sottofondo, il più stonato e assillante sono io, altro che il mondo intorno e la voce narrante parla al massimo per un paio d'ore per poi spesso mordersi la lingua e pensare "boccaccia mia, ma perché non ti stai zitta e vai oltre?".
Nella mia vita da adulta, quando ho realizzato che avrei dovuto trovare un modo per sbarcare il lunario e magari anche fare qualcosa che mi piacesse, non sono mai riuscita ad arrivare a una risposta soddisfacente. Ho sempre ammirato le persone talentose, quelle con uno specifico ingegno che, se non le porta a farne un mestiere, almeno garantisce loro un momento personale da protagonista. Questo non significa che io non abbia gusti, passioni o preferenze, tutt'altro, ma per nessuno di questi ho scalato una vetta. Non sono specializzata nelle mie passioni. Non pratico quello che mi piace con tale abilità da farne un mestiere.
Potrei fare a voi la domanda senza risposta che faccio puntualmente in coda alle mie lagne : "Dì quello che ti pare amico/a mia, ma sei in grado di dirmi quale è il mio talento, quale è la mia vocazione?" Nessuno ad oggi mi ha dato una risposta convincente.
Eppure io continuo a cercare e, tra un lavoro senza vocazione e l'altro, infilo sempre la speranza di trovare la mia personale strada e fare il lavoro della mia vita, magari da imprenditrice, mettendoci del mio.
Qualche anno fa, Picca meno di un anno e io rientrata a lavorare senza alcun entusiasmo, la mamma di una compagna di asilo di Leo, mi disse che parlando con me e capendo il mio approccio alla vita (e meno male che lo avesse capito lei e non io) le era venuta voglia di farmi conoscere una sua amica. "Incredibile", mi disse, "vi somigliate anche fisicamente e avete la stessa passione per le cose". Aggiunse  che era una gran lavoratrice, che aveva avviato una sua attività ma che, come me, aveva due bambini piccoli e quindi da sola non ce la faceva, che stava cercando una socia. Il caso voleva che abitassimo a due vie di distanza. Quando mi disse il nome del negozio mi si accese il cuore perché mi ci ero fermata dozzine di volte, pensando che quel luogo vendesse  le cose che mi piacevano. Suggestionata dal gioco delle coincidenze accettai di parlarle e in me che non si dica ci intendemmo al volo. Se potessi equiparare la situazione alla conoscenza di un uomo, potrei tranquillamente dire che fu amore a prima vista. In pochi giorni sentii veramente le sensazioni dell'innamoramento. Non vedevo l'ora di vederla per parlare del futuro, facevamo progetti, mi svegliavo piena di energia ed ero convinta al cento per cento che quello fosse il lavoro della mia vita. Avrei dovuto lasciare il mio lavoro a tempo indeterminato per diventare imprenditrice di me stessa e occuparmi di cose che mi appassionavano.
Scintille e cuoricini a parte, avevo una famiglia, costi fissi e variabili nell'arco dell'anno. Rispetto al mio standard di vita, le mie entrate non erano un di più ma parte fondamentale delle entrate totali. In poche parole era arrivato il momento di fare i conti e, quando sei innamorato, è meglio che i conti li facciano altri. Chiamai così una commercialista che freddamente rovesciò tutte le carte e valutò la situazione. Il verdetto finale diceva che c'erano ottimi presupposti per lavorare insieme ma che per un lungo periodo non avrei visto un euro, complici gli investimenti iniziali, i costi d'impresa e la crisi economica che si faceva incalzante. In effetti condurre un'attività commerciale in questo periodo è roba da intrepidi ma io mi illudevo che per noi le cose sarebbero andate diversamente.
Mi ricordo quell'estate passata a fare lunghe telefonate per capire se potessi correre il rischio. Tutti dicevano la propria ma ero io che dovevo decidere. Cambiavo idea ogni secondo e alla fine mi arresi. Scelsi la strada più comoda. Non cavalcai il rischio di impresa, probabilmente la vera differenza tra chi cavalca un'impresa e chi per un'impresa lavora e basta. Mi sentii una codarda e tornai infelice al badge aziendale.
La mia possibile socia è rimasta una mia buona amica. Ha capito la mia scelta ma ha chiuso tutto.
Quando ci vediamo per me è come incontrare un amore impossibile passato e non riesco a non pensare di aver sbagliato tutto.
Nell'amore, nella vita degli affetti, non ho mai fatto scelte di questo tipo. Non ho mai interpellato un calcolatore per prendere decisioni di convenienza e indirizzare i miei sentimenti. Ma nel lavoro spesso è necessario o rischi la pena di non arrivare a fine mese, non solo tu ma anche la tua famiglia.
Dopo c'è stato un altro lavoro, nuovo e più interessante rispetto al precedente ma di quando in quando i miei pensieri vanno a quell'occasione impossibile e perduta.
Un giorno chissà riuscirò a rischiare.